A questo proposito si possono elencare sinteticamente una
serie di punti fondamentali:
-
l’ ambiente
di lavoro non è protetto: nel cantiere si lavora all’aperto
durante periodi diversi; si è quindi soggetti ad escursioni termiche
giornaliere e stagionali che influiscono sullo stato generale
di salute;
-
la movimentazione
manuale dei carichi è presente nelle costruzioni più che in
altri settori industriali: le lavorazioni di cantiere richiedono
sempre l’utilizzo e quindi lo spostamento di attrezzature, materiali
e componenti di masse che possono anche essere notevoli (sia per
volume, che per peso) e di movimenti ripetitivi che possono nuocere
all’apparato muscolo-scheletrico;
-
il rumore
(a cui si accompagnano spesso le vibrazioni)
è diventato uno dei problemi fondamentali del cantiere: la meccanizzazione
spinta oggi presente nel cantiere (impianti, macchine, utensili
elettrici) sommata alla natura delle lavorazioni (demolizione,
costruzione, perforazione, ecc.) incidono oggi sulla salute dei
lavoratori del cantiere in modo molto marcato;
-
le attività
che si svolgono in cantiere sono tali da produrre presenza di
polveri e fibre di varia natura a seconda
del tipo di sito in cui si opera, di lavorazione che si sta effettuando,
dei materiali che si stanno
utilizzando (movimento terra, demolizione, malte e calcestruzzi,
polveri organiche, isolamento, rimozione lastre cemento-amianto,
ecc.);
-
le lavorazioni
del cantiere sono caratterizzate dalla presenza massiccia e sempre
crescente di “prodotti chimici”,
prodotti cioè a base di sostanze organiche che in molti casi possono
avere effetti nocivi sulla salute degli operatori del settore
edilizio. A questo proposito è opportuno ricordare che hanno fatto
la loro comparsa in cantiere moltissime sostanze che costituiscono
la base o che intervengono nella composizione di nuovi materiali,
non sufficientemente sperimentati dal punto di vista della nocività,
mentre i materiali tradizionali si sono modificati nella composizione
per l'utilizzo di certe sostanze (quasi sempre di origine polimerica)
che, se sono capaci di innalzare il livello prestazionale e di
dare un contributo qualitativo al prodotto finito, possono provocare
anche a lunga scadenza malattie al lavoratore interessato ed anche
all’utente dell’opera, una volta che questa venga utilizzata. A differenza di quanto avviene per gli infortuni i cui effetti sono immediatamente e spesso tragicamente percepibili e quantificabili, le malattie professionali e da lavoro incidono sui diversi apparati del corpo umano (respiratorio, osseo, cutaneo, nervoso, ecc.) con un rapporto di causa-effetto che solitamente si manifesta in tempi medio-lunghi, il che influisce negativamente sulla possibilità di intervenire in modo tempestivo. 2.2.1 Il rischio chimico in cantiere A loro volta i rischi
chimici possono essere distinti in aerosol
, liquidi, gas e vapori.
Si tratta di rischi che possono essere incontrati in diverse lavorazioni,
ma l’aspetto più problematico è determinato dal fatto che alcune
tecniche abitudinariamente adottate da determinate categorie di
lavoratori comportano rischi combinati, collegati all’uso di una
o più sostanze. Ciò espone il lavoratore ad effetti che non sempre
corrispondono alla semplice sommatoria degli effetti singoli,
ma ancheal rischio risultante da eventuali reazioni tra le sostanze
impiegate. Le sostanze a matrice chimica che
si sono diffuse nel cantiere sono ormai molto numerose, per cui
risulta difficile coordinare, controllare e gestire la prevenzione
(additivi per malte e calcestruzzi; prodotti impermeabilizzanti;
paste chimiche per la protezione temporanea di superfici smaltate;
acido cloridrico, per la pulizia di murature in laterizio faccia
a vista e di superfici in cotto; colle a base di resine sintetiche;
vernici e pitture; sigillanti; ecc.). Per prevenire gli effetti deleteri
dovuti all’utilizzo di queste sostanze è opportuno che in fase
di progettazione siano effettuate scelte appropriate. Bisogna ricordare inoltre che i lavoratori
devono essere adeguatamente formati e informati perché le condizioni
spesso problematiche possono influire negativamente sulla loro
salute. Gli operatori si servono di impianti e apparecchi, spostano
materiali e attrezzi, utilizzano sostanze pericolose, causando
rischi per sé e per gli altri addetti ai lavori che operano nello
stesso ambito. Poiché anche l'aspetto organizzativo
incide sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie da lavoro,
è necessaria un'appropriata programmazione dei lavori che tenga
conto di tutti i fattori di rischio e in modo accorto delle eventuali
incompatibilità delle diverse lavorazioni e del numero massimo
di persone che possono agire all'interno della stessa area. Ma anche il progetto influisce fortemente
sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori (che possono da
esso essere condizionate), in quanto è in questo momento che vengono
effettuate scelte importanti riguardanti le caratteristiche e
le dimensioni delle costruzioni, le operazioni da effettuare,
le caratteristiche dei luoghi di lavoro, oltre a quelle relative
ai prodotti e alle tecniche da impiegare e quindi materiali, sostanze,
componenti da un lato e impianti, macchine e attrezzature dall'altro.
In base alle considerazioni effettuate,
per quanto riguarda in particolare le responsabilità rispetto
ai rischi chimici, solitamente è (o dovrebbe essere) compito del
progettista intervenire sulla scelta dei materiali ai diversi
livelli di complessità: infatti la qualità dell'opera dipenderà,
almeno in parte, dalla qualità dei prodotti utilizzati. A questo
proposito è bene sottolineare che non sempre la qualità del prodotto
scelto in fase di progettazione, rispetto alle funzioni che deve
assolvere in opera, è sinonimo di prodotto sicuro e igienico per
il lavoratore che lo deve posare
in opera. Inoltre, come già accennato, spesso
per posare alcuni prodotti che andranno a costituire parte integrante
dell'opera è necessario utilizzare alcuni prodotti ausiliari,
non riconoscibili nella costruzione, che possono essere dannosi
per chi esegue la lavorazione (come ad esempio, solventi per vernici
o per colle). E' necessario ricordare che in genere, a questo
livello, la responsabilità della scelta è propria del direttore
di cantiere o del responsabile d’impresa: infatti il progettista
non interviene in un campo così specifico, a meno che il prodotto
ausiliario non sia espressamente imposto dalla casa produttrice
come prodotto complementare e quindi individuabile nella scheda
tecnica di applicazione del prodotto da posare in opera. Il nostro paese ha sempre fatto fatica
a stare al passo e quindi le norme sono state recepite con qualche
ritardo, ma si può affermare che oggi dal punto di vista normativo
siamo tanto attrezzati che invece il problema sta nel livello
culturale degli operatori, che soprattutto in questo settore,
non riescono a rendersi conto di quanto può influire negativamente
a livello individuale – ma anche a livello sociale – la mancanza
di un’idonea prevenzione. L’impegno fondamentale a livello
internazionale dal punto di vista normativo è stato quello di
diffondere le informazioni riguardanti la pericolosità delle sostanze
e dei preparati. In particolare a livello europeo e nazionale
sono stati effettuati studi che, combinati con ricerche svolte
in altri paesi, hanno portato ormai da qualche decennio alla classificazione
e alla etichettatura di tali elementi. Le due direttive fondamentali in
materia sono la 67/548/CEE e la 73/173/CEE concernenti il riavvicinamento
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative
relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura
delle sostanze pericolose. Nel nostro paese tali direttive vengono
entrambe recepite nel 1974 con un’unica legge (Legge 29 Maggio
1974, n. 256 "Classificazione e disciplina dell'imballaggio
e dell'etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi")
che continua ad essere adeguata e modificata in base agli aggiornamenti
scientifici. E’ opportuno ricordare che cosa debba
intendersi per sostanze:
elementi chimici e loro composti allo stato naturale o ottenuti
mediante qualsiasi procedimento di produzione, compresi gli additivi
necessari, ma esclusi i solventi e per preparati:
miscele o soluzioni costituite da due o più sostanze. Sono stati così perseguiti quattro
obiettivi ritenuti indispensabili per la tutela della salute umana
e la salvaguardia dell’ambiente, attraverso la definizione di
criteri omogenei per la classificazione, l’etichettatura, l’imballaggio,
la definizione della scheda di sicurezza:
1.
Classificazione e etichettatura di tutte le sostanze e i preparati,
in base a criteri di valutazione standard. In etichetta sono riportati
il simbolo di pericolo
raffigurante il principale rischio che la sostanza pericolosa
può causare, l’indicazione scritta del pericolo principale,
una o più frasi standard
(codificate alfanumericamente) che descrivono in modo sintetico
i potenziali rischi individuati con il simbolo R seguito da un
numero e una frase, individuata con il simbolo S, che descrive
le norme di sicurezza da adottare per minimizzare i rischi;
2.
Creazione di
un inventario delle sostanze
chimiche (EINECS - European Inventory of Existing Commercial
Substances - inventario europeo delle sostanze commerciali esistenti);
3.
Creazione di una lista EINECS contenente le nuove sostanze apparse successivamente
alla data del 1987;
4.
Elaborazione
di schede di sicurezza
secondo criteri uguali per tutti i paesi Membri. 2.2.2.2 La classificazione La classificazione delle sostanze
pericolose viene introdotta con il Decreto Legislativo 52/97,
che fornisce anche le definizioni di merito: 1) esplosivi : sostanze e preparati solidi, liquidi, pastosi o gelatinosi
che, anche senza l'azione dell'ossigeno atmosferico, possono provocare
una reazione esotermica con rapida formazione di gas e che, in
determinate condizioni di prova, detonano, deflagrano rapidamente
o esplodono in seguito a riscaldamento in condizione di parziale
contenimento; 2) comburenti: sostanze e preparati che a contatto con altre sostanze,
soprattutto se infiammabili, provocano una forte reazione esotermica; 3) estremamente infiammabili: sostanze e preparati liquidi con punto
di infiammabilità estremamente basso e punto di ebollizione basso
e sostanze e preparati gassosi che a temperatura e pressione ambiente
sono infiammabili a contatto con l'aria; 4) facilmente infiammabili: - sostanze e preparati che, a contatto
con l'aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia,
possono subire innalzamenti termici e da ultimo infiammarsi; - sostanze e preparati solidi che
possono facilmente infiammarsi dopo un breve contatto con una
sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi
anche dopo il distacco dalla sorgente di accensione; - sostanze e preparati liquidi il
cui punto d'infiammabilità è molto basso; - sostanze e preparati che, a contatto
con l'acqua o l'aria umida, sprigionano gas estremamente infiammabili
in quantità pericolose; 5) infiammabili: sostanze e preparati liquidi con un basso punto di infiammabilità; 6) molto tossici: sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione
o assorbimento cutaneo, in piccolissime quantità, possono essere
letali oppure provocare lesioni acute o croniche; 7) tossici: sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione
o assorbimento cutaneo, in piccole quantità, possono essere letali
oppure provocare lesioni acute o croniche; 8) nocivi: sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione
o assorbimento cutaneo, possono essere letali oppure provocare
lesioni acute o croniche; 9) corrosivi: sostanze e preparati che, a contatto con i tessuti vivi,
possono esercitare su di essi un'azione distruttiva; 10) irritanti: sostanze e preparati non corrosivi, il cui contatto diretto,
prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una
reazione infiammatoria; 11) sensibilizzanti: sostanze e preparati che, per inalazione o assorbimento
cutaneo, possono dar luogo ad una reazione di ipersensibilizzazione
per cui una successiva esposizione alla sostanza o al preparato
produce reazioni avverse caratteristiche; 12) cancerogeni: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo,
possono provocare il cancro o aumentarne la frequenza; 13) mutageni: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o assorbimento
cutaneo, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne
la frequenza; 14) tossici per il ciclo riproduttivo: sostanze e preparati che, per inalazione,
ingestione o assorbimento cutaneo, possono provocare o rendere
più frequenti effetti nocivi non ereditari nella prole o danni
a carico della funzione o delle capacità riproduttive maschili
o femminili; 15) pericolosi per l'ambiente: sostanze e preparati che, qualora si diffondano
nell'ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati
differiti per una o più delle componenti ambientali. L’etichetta riporta simboli che forniscono
in modo sintetico e immediato la pericolosità della sostanza o
del preparato contenuto nella confezione. Sono riportati di seguito
i termini, la sigla e il significato definiti dalla normativa:
1) esplosivo : una bomba che esplode (E); 2) comburente: una fiamma sopra un cerchio (O); 3) facilmente infiammabile: una fiamma (F); 4) estremamente infiammabile: una fiamma (F+); 5) tossico: un teschio su tibie incrociate (T); 6) molto tossico: un teschio su tibie incrociate (T+); 7) nocivo: una croce di Sant'Andrea (Xn); 8) corrosivo: la raffigurazione dell'azione di un acido ( C); 9) irritante:una croce di Sant'Andrea (Xi); 10) pericoloso per l'ambiente: un albero spoglio con un pesce morto. Tali simboli devono essere stampati
in nero su fondo giallo/arancione. Le altre informazioni che devono
comparire sull'etichetta (indicazioni in caratteri leggibili e
indelebili) sono: 1) la denominazione della sostanza conforme a una delle denominazioni riportate
nell'Allegato I. Se la sostanza non figura nell'allegato, la denominazione
deve basarsi su una nomenclatura internazionale riconosciuta; 2) il nome e l'indirizzo completo,
nonché il numero di telefono del responsabile dell'immissione
sul mercato stabilito all'interno dell'U.E., che può essere o
il fabbricante, o l'importatore, o il distributore; 3) l'indicazione di pericolo
che comporta l'impiego della sostanza. Se la sostanza non compare
nell'Allegato I, i simboli e le indicazioni di pericolo sono assegnati
in base alle norme dell'Allegato VI. Se per la sostanza sono indicati
più simboli di pericolo, è possibile indicare solo il
simbolo più pericoloso; 4) le frasi di rischio dette "frasi R"; 5) i consigli di prudenza detti "frasi S"; 6) il numero C.E. – se assegnato
– che compare nell'elenco EINECS o ricavato dall'elenco delle
sostanze pubblicato dal Ministero della Sanità. Regole specifiche sono definite anche
per quanto concerne gli imballaggi che devono essere solidi e
resistenti per consentire la manipolazione e il trasporto, tali
da impedire la fuoriuscita del contenuto, essere realizzati con
materiale inattaccabile dalla sostanza contenuta e non reattiva
con essa. Con la Direttiva 88/379/CEE si introduce
l’obbligo di dotare i prodotti “pericolosi” della cosiddetta “scheda
di sicurezza”. In questo modo gli “Stati Membri adottano le misure
necessarie per l'attuazione di un sistema specifico di informazione
relativo ai preparati pericolosi. [...] Tali informazioni sono
principalmente destinate agli utilizzatori professionali e devono
permettere loro di prendere le misure necessarie ai fini della
protezione della salute e della sicurezza sul posto di lavoro".
Con la successiva direttiva 91/155/CEE
si afferma inoltre: "Il responsabile dell'immissione sul
mercato di una sostanza pericolosa o di un preparato pericoloso,
stabilito all'interno della comunità, sia esso il fabbricante,
l'importatore o il distributore, deve fornire al destinatario,
nella persona dell'utente a titolo professionale, una scheda di
dati di sicurezza indicante le informazioni” necessarie ad attuare
un’efficace prevenzione. In Italia le due direttive sono state
recepite con il D.M. 28 gennaio 1992 del Ministero della Sanità,
riprendendo integralmente il testo riportato nelle due direttive;
i dati specifici da fornire sono indicati nell'allegato III. Occorre precisare che queste direttive
riguardano esclusivamente i preparati pericolosi, cioè miscele
o soluzioni composte da due o più sostanze, e non le sostanze
pure, le quali sono state invece oggetto di diverse normative
recepite nel nostro paese con il Decreto Ministeriale del 4 aprile 1997.
La scheda di dati di sicurezza, che
deve essere stilata con precisazione della data, contiene le seguenti
rubriche obbligatorie: 1. Elementi identificativi della sostanza o del preparato e della società/impresa:
ai
fini della sicurezza, questi dati sono di fondamentale importanza
in quanto, in caso di necessità, è possibile avere informazioni
dirette dal fabbricante/importatore/distributore. 2. Composizione/informazione sugli ingredienti: se si tratta di sostanza pura,
occorre obbligatoriamente indicare il nome esatto; in caso di
preparato, la normativa consente di non indicare con precisione
la composizione completa (per tutelare il segreto industriale),
ma obbliga ad indicare comunque le sostanze presenti nei preparati
quando queste abbiano concentrazioni pari o superiori a quelle
stabilite e siano definite pericolose dalle norme. In questo punto
vengono indicati anche i numeri di identificazione delle sostanze
chimiche e precisamente: - il numero CAS (Chemical Abstract
Service), numero di identificazione di una sostanza o di una miscela
diffuso a livello mondiale, al fine di definire in modo certo
l’identità della sostanza chimica; - il numero CEE, riconosciuto solo
all'interno della CEE; - il numero EINECS (European Inventory
of Existing Commercial Substances), relativo all’inventario delle
sostanze commercializzate in ambito europeo. 3. Indicazione dei pericoli: vengono indicati gli effetti dannosi per la salute dell'uomo
e i sintomi che possono insorgere in seguito all'utilizzo. 4. Misure di pronto soccorso: per ogni via di penetrazione possibile della sostanza (inalazione,
ingestione, contatto con la pelle, contatto con gli occhi) sono
indicati: i sintomi, le modalità di intervento immediato, i probabili
effetti immediati e successivi,
i mezzi di intervento che devono essere presenti sul luogo
di lavoro utili per l'intervento immediato. 5. Misure antincendio: le indicazioni devono contenere informazioni in merito
ai mezzi di estinzione consigliati e sconsigliati in caso di incendio
della sostanza chimica e sui dispositivi di protezione individuale
da utilizzare. 6. Misure in caso di fuoriuscita accidentale: le informazioni sono relative a
precauzioni individuali volte alla tutela della salute fisica
delle persone, precauzioni
ambientali volte alla tutela dell'ambiente, metodi di pulizia
volti a diminuire il rischio a seguito della fuoriuscita del materiale. 7. Manipolazione e stoccaggio: è una delle voci più importanti in quanto comunica all'utente
finale (il lavoratore) come comportarsi durante l'utilizzo del
prodotto in modo da ridurre i rischi che l'utilizzo dello stesso può comportare. Sono indicate le precauzioni
da adottare durante l'utilizzo, le procedure di impiego, l'equipaggiamento
consigliato durante l'uso. Sono inoltre indicati i materiali incompatibili
con la sostanza/preparato, i quantitativi massimi che si possono
stoccare, le caratteristiche del luogo dello stoccaggio (temperatura
massima/minima), il materiale costituente l'imballaggio e i contenitori
idonei al prodotto. 8. Controllo dell'esposizione/protezione individuale: sono riassunte in questo capitolo
tutte le misure precauzionali
da adottare durante l'uso, al fine di
ridurre al minimo l'esposizione del lavoratore. E' specificato
inoltre il principio che vede come azione di protezione primaria
la "protezione collettiva". 9. Proprietà fisiche e chimiche: sono riportate informazioni scientifiche di tipo chimico-fisico
sulla sostanza/preparato necessarie alla sua classificazione.
Le informazioni riguardano: aspetto, odore, pH, punto/intervallo
di ebollizione, punto/intervallo di fusione, punto di infiammabilità,
autoinfiammabilità, proprietà comburenti, pressione di vapore,
densità reattiva, solubilità: idrosolubilità, liposolubilità,
coefficiente di ripartizione, ecc. 10. Stabilità e reattività: sono fornite altre indicazioni sul comportamento chimico-fisico della sostanza/preparato,
di più facile lettura e di più immediata applicabilità rispetto
al precedente punto. 11. Informazioni ecologiche: è la voce dedicata specificamente all'ambiente o meglio
alla tutela dell'ambiente. In essa vanno indicati il comportamento
e la trasformazione a cui va incontro la sostanza/preparato dispersa
nell'ambiente (mobilità nell'ambiente,
degradabilità, accumulazione, effetti a breve e a lungo
termine, ecotossicità, ecc. Tutte le informazioni sono obbligatorie
per le sostanze classificate come pericolose per l'ambiente. 13. Considerazioni sullo smaltimento: devono essere fornite informazioni riguardanti la
manipolazione dei rifiuti sotto l'aspetto della sicurezza ovvero,
i metodi di smaltimento sia della sostanza che del contenitore
(incenerimento, riciclaggio, messa in discarica, ecc.) facendo
riferimento alle norme comunitarie e nazionali. 14. Informazioni sul trasporto: questa voce ha lo scopo di informare l'utilizzatore finale
sulla movimentazione del prodotto sia all'interno dell'area di
lavoro che all'esterno. Devono essere fornite le indicazioni per
i vari tipi di trasporto (marittimo, aereo, terrestre) e, devono
essere citate le varie codifiche per i diversi tipi di trasporto
(ADR, RID, IMO, IATA, ecc.). 15. Informazioni sulla regolamentazione: le norme che regolano le sostanze
ed i preparati pericolosi sono quelle già accennate in precedenza
sull'etichettatura e la classificazione. Quindi le indicazioni
riportate sulle etichette devono riguardare: simboli delle sostanze
pericolose, frasi di rischio, consigli di prudenza. 16. Altre informazioni: questa voce può essere molto ampia in quanto il legislatore
ha voluto fornire al fabbricante/importatore/distributore uno
spazio nel quale indicare altre informazioni rilevanti ai fini
della sicurezza e della salute del lavoratore (indicazioni sull'addestramento,
raccomandazioni per l'uso ed eventuali restrizioni d'uso) o in
favore della protezione dell'ambiente. Possono essere indicate
anche fonti bibliografiche. Nello studio delle attività lavorative
e nella definizione dei criteri di prevenzione una particolare
importanza rivestono i valori limite, cioè i limiti massimi delle
concentrazioni delle sostanze nell’ambiente di lavoro oltre i
quali possono insorgere malattie e/o danni per la salute dell'uomo.
Tali limiti non hanno valore assoluto,
in quanto esiste una sensibilità individuale rispetto a una determinata
sostanza; costituiscono comunque il risultato di indagini scientifiche
condotte nel campo, che hanno portato ad affermare che la quasi
totalità delle persone esposte quotidianamente a tali sostanze
entro tali livelli non ha subito conseguenze dannose per la propria
salute. La ricerca ha inoltre stabilito che l'entità degli effetti
tossici dipende dalla dose della sostanza chimica considerata
e che, se la quantità di prodotto viene diminuita progressivamente,
si assiste alla scomparsa degli effetti sull'organismo. Da questo chiarimento è scaturita
una serie di ricerche atte ad individuare valori limite ammissibili
per l'uso delle sostanze chimiche
negli ambienti di lavoro - ma anche nell'ambiente in generale.
Il limite di soglia delle sostanze chimiche è stato recepito nel nostro
paese con il D.P.R. 10 settembre 1982, n.962 dalla Direttiva 78/610/CEE
relativa alla tutela dei lavoratori esposti al cloruro di vinile
monomero, anche se la necessità del controllo dei rischi era già
compresa nel D.P.R. 303/56 “Norme generali per l’igiene del lavoro”. Solo con il Decreto Legislativo 626/94
viene ripreso il concetto: si impongono espressamente misure generali
di tutela per la salute e la sicurezza dei lavoratori, e in particolare
si chiede: - sostituzione di tutto ciò che è
pericoloso con ciò che non lo è,
o lo è meno; - limitazione al minimo indispensabile
del numero di lavoratori
che sono, o possono venire a contatto, con fattori di rischio; - utilizzo limitato ed esposizione
ridotta ad agenti chimici, fisici, biologici; - allontanamento del lavoratore dall'esposizione
al rischio per motivi sanitari inerenti la salute del lavoratore
stesso; - eliminazione dei rischi secondo
le migliori conoscenze acquisite e in base al progresso tecnologico. Per quanto riguarda i valori limite,
secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) esistono
due tipi di limite di esposizione con diverso significato: - limiti di esposizione basati sulla capacità di proteggere la salute,
cioè valori massimi accettabili per la salute umana; - limite di esposizione accettati, cioè valori accettati per la salute
umana dopo aver valutato l'evidenza di effetto sulla salute. Esistono molti studi e procedure
in materia, anche se i criteri a cui si fa riferimento a livello
mondiale sono quelli definiti dall' ACGIH (American
Conference of Governmental Industrial Hygienists, USA, 1937).
I TVL (Threshold limit value) vengono aggiormati di anno in anno
e pubblicati in tre differenti categorie, tutte precedute dalla
sigla TLV, che rappresenta il valore limite di soglia della concentrazione
atmosferica di una sostanza, alla quale si ritiene che tutti i
lavoratori possano essere
ripetutamente esposti, giorno dopo giorno, senza subire effetti
nocivi. Tali categorie sono: 1) TLV-TWA (Time Weightd Average)/ media ponderata nel tempo: valore
limite di soglia media ponderata per un giorno lavorativo di 8
ore e per una settimana lavorativa di 40 ore; 2) TLV-STEL (Shot Term Exposure Limit)/ limite per breve tempo di esposizione:
valore limite di soglia per breve tempo di esposizione con finalità
di proteggere i lavoratori dall'insorgenza di irritazioni, di
danni tissutali irreversibili, oppure di narcosi di grado sufficiente
ad accrescere la possibilità di infortunio. In genere tale valore
integra i valori TLV-TWA quando sono considerate sostanze che
possono generare effetti acuti. Viene definito come esposizione
media ponderata su un tempo massimo di 15 minuti che non deve
mai essere superato. Le esposizioni STEL non devono quindi superare
i 15 minuti e non devono essere più di 4 in un turno di lavoro
e, tra un’esposizione e l’altra, devono intercorrere almeno 60
minuti; 3) TLV-C (Ceiling)/ concentrazione che non deve essere superata neppure istantaneamente:
valore limite istantaneo o limite per esposizioni di breve durata;
indica la concentrazione che non deve mai essere superata. Nel caso in cui per una sostanza
fosse indicato il solo valore TLV-TWA significa che sono consentite
esposizioni maggiori al valore di soglia, purché
le stesse vengano compensate con esposizioni al di sotto
del valore di soglia durante la giornata stessa. L'ACGIH ha infatti
affermato che per talune sostanze è possibile superare al massimo
tre volte tanto la concentrazione per un tempo massimo di trenta
minuti massimi nell'arco della giornata e, comunque, non è possibile
arrivare a concentrazioni cinque volte superiori. Va precisato che nel caso si abbia
– nell'ambiente di lavoro – un’esposizione a più sostanze, l'indice
di esposizione da considerare è dato dalla seguente formula: TLV = (c1
/ t1) + (c2 / t2) dove c1 e c2 sono le concentrazioni
misurate nell'ambiente delle sostanze presenti e t1 e t2
il loro limite. Quando questo valore è superiore a 1 significa
che il TLV della miscela è superato. Da quanto esposto, si evince
che non vengono considerati gli effetti combinati delle due sostanze
(che potrebbero essere proprio dal punto di vista chimico estremamente
negativi), ma solamente il loro effetto additivo. Come affermato precedentemente, molti sono i materiali
e i prodotti che vengono oggi utilizzati nel settore delle costruzioni
che comportano rischio di matrice chimica per la salute degli
operatori. Prendendo in esame il cantiere e
le lavorazioni che vi si sviluppano, si può affermare che il rischio
chimico è stato riconosciuto in modo più ampio solo negli ultimi
decenni, in corrispondenza della diffusione di prodotti di sintesi
offerti dall’industria
chimica. La corrispondenza tra i prodotti
a “rischio chimico” e la salute dell’uomo si concretizza in effetti
sensibilizzanti, irritanti, nefrotossici, epatotossici, neurotossici,
cancerogeni e, in rari casi, anche effetti mutageni e teratogeni.
E’ necessario precisare che i pericoli più gravi sono dovuti alla
combinazione di più sostanze: mentre i singoli prodotti sono ampiamente
documentati ed appropriatamente etichettati, problematico diventa
il controllo delle possibili interazioni tra prodotti diversi. Tenendo presente che anche per quanto
riguarda il rischio chimico valgono le regole generali di prevenzione
per cui è necessario innanzi tutto eliminare il rischio alla fonte,
individuando prodotti alternativi non nocivi, neutralizzarlo mettendo
in atto tecniche e sistemi di protezione collettiva (che però
in cantiere risultano praticamente impossibili), e solo come ultimo
atto utilizzare dispositivi di protezione individuale, va ricordato
che l'azione nociva delle sostanze chimiche può manifestarsi in
modo diverso e in particolare per: - contatto, provocando malattie cutanee ed altre affezioni, per cui
è necessario che l'operatore indossi mezzi protettivi e abbigliamento
adeguati ed in particolare tuta, guanti e scarpe da lavoro; - inalazione, provocando irritazione e malattie che possono interessare
diversi apparati e in particolare le vie respiratorie, per cui,
a seconda dei casi, è necessario utilizzare maschere di protezione
e, se le sostanze che si liberano sono ritenute dannose a specifici
organi o parti del corpo (ad esempio le mucose oculari), fare
ricorso ad idonei mezzi personali di protezione; - ustione, provocando azione caustica, per cui viene raccomandata estrema
cautela nell'utilizzo. L’attenzione al problema sta sempre
più aumentando, anche per la diffusione di una maggiore sensibilità
nei confronti delle questioni ambientali, per cui le industrie
produttrici sono oggi in grado di offrire soluzioni “pulite”,
garantendo per i propri prodotti livelli prestazionali di pari
dignità rispetto a quelli diffusi in passato (è il caso, ad esempio,
di certi prodotti disarmanti che vanno a rimpiazzare quelli a
base di oli minerali giustamente banditi dal mercato oppure di
certe famiglie di vernici la cui composizione vede una percentuale
molto bassa di elementi dannosi). Le vie di penetrazione e quindi di
attacco alla salute dell’uomo sono costituite dalle vie respiratorie,
dalla cute e dalla mucosa oculare, con effetti schematicamente
riportati in tabella 2.
Un primo riferimento in merito alla
protezione dell'organismo contro le polveri è stato fornito con
il D.P.R. 303/56, dove viene precisato che il datore di lavoro
è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne
lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente, in funzione anche della
natura e della concentrazione delle stesse. E’ tenuto inoltre
ad adottare tutte le misure tecnologicamente possibili per limitare
l'esposizione alle polveri del lavoratore e, ove ciò non è possibile,
mettere a disposizione e far adottare i dispositivi di protezione
individuali. L'ACGIH (American Conference of Govermental
Industrial Hygienists) ha classificato le polveri in tre categorie
a seconda della loro granulometria: - MPI, massa delle particelle inalabili (>100 micron) - MPT, massa delle particelle toraciche
(<100 micron; >25 micron) - MPR, massa delle particelle respirabili
o “frazione respirabile” (<25 micron). Un altro tipo di classificazione
che si può effettuare in merito alle polveri è quella basata sulla
loro tipologia/origine. Le polveri organiche possono provocare
diverse patologie, tra le quali sono piuttosto diffuse: asma allergico,
sindrome tossica da polveri organiche e polmonite da ipersensibilità,
mentre le polveri inorganiche sono a loro volta suddivise in base
alla loro natura in polveri da metalli (zinco, alluminio, mercurio,
ecc.), polveri di natura fibrosa (asbesto, talco, ecc.), polveri
di silicati (silice libera). Anche le fibre, per le quali sono in atto a livello internazionale studi e
ricerche di grande interesse, costituiscono un problema fortissimo.
E’ da sottolineare però che su questo versante, grazie alla diffusione
delle informazioni che si è verificata in seguito alla pubblicazione
di rapporti scientifici e soprattutto dopo l’emanazione delle
direttive riguardanti l’uso di amianto, si è creta una sensibilità
tra gli operatori del settore per cui tutti i materiali fibrosi
minerali (lana di roccia, fibre di vetro e ovviamente amianto)
vengono trattati con la dovuta cautela. Inoltre, proprio in base
a dettati normativi, le lavorazioni che comportano la manipolazione
o il contatto con l’amianto, possono essere effettuate solo da
imprese e da operatori che siano stati adeguatamente formati per
operare in sicurezza. Problematici sono anche tutti quei
prodotti che nel momento in cui vengono posati in opera cambiano,
anche solo temporaneamente, di stato fisico. Si tratta di vernici,
adesivi, sigillanti, ecc. che, posati allo stato liquido o fluido,
solidificano per effetto di specifiche reazioni chimiche, sprigionando
in dosi consistenti sostanze nocive per la salute. Tra le sostanze
più pericolose, è da citare la maggior parte dei solventi,
che possono avere un effetto narcotico sul lavoratore. I primi
effetti sulla persona sono riconducibili a una serie di disturbi
che spesso possono essere confusi con un generico malessere (stanchezza,
cefalea, insonnia, vertigini, disturbi della sfera sessuale, ecc.),
fino a trasformarsi in disturbi più evidenti, quali la mancanza
di attenzione e concentrazione, fino ad arrivare alla encefalopatia
con evidenti segni neurologici. Secondo le ricerche effettuate,
uno dei problemi più rilevanti conseguenti all’uso di queste sostanze
è quello neurotossico che provoca disturbi di comportamento; infatti
le sostanze che penetrano negli organi del corpo umano si associano
a molecole dell’organismo determinando una serie di reazioni biochimiche
ed elettrofisiologiche. Si hanno così effetti di tipo motorio,
sensitivo, cognitivo, sistemico che agiscono anche sull'affettività
e sulla personalità del lavoratore. Tali aggressioni sono molto
gravi, anche perché le manifestazioni non sono immediate e non
sono sempre osservabili e quindi diagnosticabili, con un conseguente
comportamento di inconsapevolezza per quanto riguarda l’esposizione
al rischio. Si riportano inoltre sette schede
corrispondenti ad altrettante categorie di prodotti che sono ritenute
molto problematiche per la salute dell’uomo e per l’ambiente per
la loro composizione. Le schede sono di carattere esemplificativo
e non esauriscono la complessità del quadro. Le categorie di prodotti analizzati
sono:
-
polveri organiche
e inorganiche,
-
gli intonaci
e le malte in genere,
-
gli isolanti
minerali in fibre (non è trattato l’amianto in quanto estremamente
noto sia per gli effetti sulla salute che per le cautele da adottare
durante la bonifica o la rimozione),
-
gli isolanti
sintetici,
-
gli impermeabilizzanti
a base di bitume,
-
gli adesivi
e i sigillanti,
-
le pitture,
le vernici, gli smalti. Tali categorie di prodotto sono state
analizzate tenendo in considerazione una serie di voci che si
riconducono alla scheda di sicurezza dei prodotti, senza ripercorrerla
nella sua interezza. Gli argomenti considerati sono i seguenti:
-
sostanza/prodotto,
-
aspetto/forma,
-
lavorazioni
interessate,
-
sostanze contenute,
-
vie di penetrazione,
-
rischi per
la salute,
-
cautele operative,
-
uso di DPI,
-
frasi di rischio
e consigli di prudenza,
-
problemi ambientali.
2.4.1 I prodotti sani e puliti Perché la situazione sia considerata
appropriata è infatti necessario che tutti gli operatori del
processo edilizio siano consapevoli delle necessità di rispettare
l’ambiente e la salute degli individui: questo potrà essere
perseguito attraverso adeguate scelte sia in fase di programmazione
che di progettazione e facendo riferimento ad imprese che hanno
fatto della qualità – e in particolare della salute e della
sicurezza - uno dei cardini del proprio comportamento. La scelta dei prodotti a minor impatto
sull’ambiente e sulla salute è già un fattore che garantisce
una buona base; ma ciò non basta se gli operatori non sono formati
per effettuare una lavorazione appropriata, oltre che in termini
di qualità prestazionale, anche dal punto di vista dell’utilizzo
del prodotto. Da circa un paio di decenni le aziende
dell’indotto edilizio più attente alle problematiche ambientali
hanno progettato e immesso sul mercato prodotti che rispondono
in modo più attento alle richieste di quella fascia di utenza
e di quel comparto di progettisti che, in base a considerazioni
di salvaguardia del patrimonio ambientale e territoriale da
un lato e di tutela della salute dall’altro, sono più attenti
alla scelta dei materiali, al loro ciclo di vita, alle loro
caratteristiche in termini di igiene. Sono così apparsi sul mercato molti
prodotti che vengono proposti come materiali “biocompatibili”,
“ecologici”, “verdi”, in quanto realizzati a partire da sostanze
naturali e realizzati con processi di produzione, lavorazione,
trasformazione che si ispirano alle tecniche tradizionali e
che corrispondono a bilanci energetici sostenibili. Poiché le
esigenze dell’utenza sono però legate non solo alle questioni
ambientali, ma riguardano anche tutta una serie di altri fattori
di tipo prestazionale, spesso la composizione di questi prodotti
si arricchisce di additivi e componenti che non rispecchiano
fino in fondo gli obiettivi prefissati. E’ opportuno allora fare riferimento
alla cosiddetta scheda di sicurezza del prodotto che, nonostante
il dettato delle norme, viene
attualmente redatta in modo puntuale da quelle aziende che hanno
scelto di offrire al mercato non tanto prodotti “sani”, ma piuttosto
prodotti “conosciuti” per consentire comportamenti adeguati
a chi deve operare. Tenendo conto del fatto che si possono
utilizzare dispositivi diversi a seconda tipo di aggressione
che il prodotto o la sostanza può dare (la scheda di sicurezza
in genere dà informazioni appropriate da questo punto di vista)
e tenendo conto del fatto che, come precedentemente illustrato,
il rischio chimico si concretizza sull’uomo attraverso contatto,
inalazione, ingestione, si può trovare una corrispondenza tra
DPI, parti del corpo interessate e modalità di manifestazione
(Tab. 4 ).
-
sistemi ad
impregnamento d’acqua, utilizzati per sostanze/preparati di
natura particellare solida.
In corrispondenza delle fonti di generazione delle particelle
nocive vengono collocati getti d’acqua che catturano i microframmenti
solidi, impedendo loro
di entrare in sospensione e quindi di essere respirati. Questo
sistema è tipico delle opere di demolizione di strutture ceramiche;
-
sistemi di
aerazione, basati sulla purificazione dell’aria e la dispersione/diluizione
delle eventuali sostanze nocive (impianti di ventilazione e
di purificazione), che non sono facilmente adottabili in cantiere.
Si può osservare però che in cantiere spesso si lavora all’aria
aperta; è quindi doveroso quando si opera negli interni per
finiture di vario genere (intonaci, pitturazioni, verniciature,
incollaggi, ecc.) provvedere a creare un sistema adeguato di
ventilazione;
-
sistemi integrati,
che prevedono l’accoppiamento simultaneo di sistemi diversi. E’ comunque necessario, per quanto
riguarda la prevenzione rispetto al rischio chimico, fare anche
appropriato uso dei dispositivi di protezione individuale. Il
D.Lgs. 475/92 di recepimento di direttive europee ha distinto
in categorie i DPI regolamentandone l’uso; vengono individuate
tre diverse categorie, corrispondenti a sistemi di tutela rispetto
a rischi che possono essere considerati di lieve, media e forte
entità. Per la protezione dal rischio chimico si ritiene che
debbano essere impiegati i dispositivi di terza categoria. Secondo
il decreto infatti “appartengono alla terza categoria i DPI di progettazione
complessa destinati a salvaguardare da rischi di morte o di
lesioni gravi e di carattere permanente. Nel progetto deve presupporsi
che la persona che usa il DPI non abbia la possibilità di percepire
tempestivamente la verificazione istantanea di effetti lesivi.” Tali “mezzi di protezione” devono essere conservati
in luoghi sicuri e di
facile accesso per essere reperibili tutte le volte che se ne
presenti la necessità. Sono concepite per proteggere il corpo intero. Sono utilizzate in tutti quelle attività che espongono l'operatore
a un continuo contatto con agenti chimici in condizioni di normale
impiego. Sono realizzate principalmente con quelle fibre sintetiche
(acriliche, viniliche, ammidiche, ecc.), le cui caratteristiche
ne permettono l'impiego nella manipolazione di prodotti acidi
e alcalini in presenza di agenti vari, compresi quelli cancerogeni
(amianto e benzene) ed infine in lavori in rete fognaria. Due sono le classi di appartenenza per questi indumenti o
capi d'abbigliamento:
-
Traspiranti (adatti per contatti accidentali,
devono impedire o ritardare il transito di prodotti contaminanti
per il tempo necessario affinché l'operatore possa liberarsene);
-
Impermeabili (impiegabili per tempi limitati,
creano attorno all'operatore un vero e proprio involucro capace
di non reagire con le sostanze con cui viene a contatto e quindi
di creare una barriera sicura tra il lavoratore e i prodotti
chimici pericolosi). La norma europea EN 340 "Indumenti di protezione: requisiti
generali" detta una serie di regole specifiche, assolutamente
necessarie per la definizione di un dispositivo idoneo:
-
requisiti
generali rispondenti a criteri ergonomici (i materiali e i componenti
dell'indumento di protezione non devono essere causa di effetti
indesiderati sul portatore);
-
capacità
di offrire al portatore il massimo grado di comfort compatibile
con una protezione adeguata;
-
innocuità
delle parti dell'indumento di protezione che possono venire
a contatto con l'utilizzatore (assenza di asperità, spigoli
vivi e sporgenze che potrebbero causare irritazione eccessiva
o lesioni);
-
caratteristiche
di indossabilità e comodità (il dispositivo deve essere progettato
in modo da facilitarne il posizionamento corretto sull'utilizzatore
e da garantire la permanenza in posizione per tutto il periodo
di uso prevedibile, tenendo conto dei fattori ambientali, nonché
dei movimenti e delle posture che il portatore potrebbe assumere
nel corso del lavoro);
-
caratteristiche
di leggerezza (il dispositivo deve essere il più leggero possibile,
senza che ciò pregiudichi la resistenza necessaria
determinata in fase di progetto e l'efficienza);
-
caratteristiche
di invecchiamento (l'indumento non deve favorire effetti nocivi
legati all'alterazione del colore, alla pulitura e al cambiamento
dimensionale sui livelli di prestazione);
-
appropriatezza
della vestibilità attraverso la predisposizione di diverse taglie;
-
marcatura
degli indumenti di protezione (ogni singolo indumento di protezione
deve essere marcato rispettando le indicazioni della norma stessa);
-
informazioni
fornite dal fabbricante (l'indumento di protezione deve essere
fornito al committente corredato di tutte informazioni necessarie,
redatte in modo tale da risultare inequivocabili e almeno nella
lingua ufficiale dello stato di destinazione). Sono destinati a proteggere le mani
degli operatori. Poiché svariate attività richiedono l’uso di
questa categoria di DPI, moltissimi tipi sono stati studiati
per rispondere alle diverse esigenze. In particolare per quanto riguarda
le attività che comportano utilizzo di sostanze chimiche aggressive,
è necessario saper individuare quali sono i guanti capaci di
resistere agli attacchi e non reagire, in modo tale da non provocare
eventuali danni ulteriori alla cute. I rischi lavorativi a cui gli occhi
sono esposti possono essere di differente natura: sicuramente
il rischio fisico può essere abbinato al rischio chimico e quindi
la protezione di questo organo deve essere tenuta in forte considerazione.
La manipolazione e la trasformazione dei materiali può infatti
generare situazioni problematiche per una parte del corpo così
delicata. Bisogna considerare che nella pratica spesso i lavoratori
sono esposti alla combinazione di rischi di diversa natura e
pertanto i mezzi di protezione che proteggono quest’organo devono
essere adeguatamente scelti. Il rischio chimico è individuabile in tutte quelle lavorazioni in cui
gli occhi possono venire a contatto con liquidi, solidi ed areiformi,
la cui natura determina un danno generalmente di tipo irritativo
o caustico. I dispositivi di protezione individuali
per l’apparato visivo, che appartengono tutti alla terza categoria
secondo quanto definito dal decreto sopracitato, comprendono
occhiali con o senza schermi laterali (capaci di contrastare
i molteplici rischi, fisici, chimici, biologici), maschere,
visiere/schermi facciali, caschi per saldatura. Ovviamente i DPI utilizzati in situazioni
di rischio chimico devono essere tali da difendere l’operatore
e nello stesso tempo non deteriorarsi per non compromettere
la capacità visiva dell’operatore. Spesso più che gli occhiali sono da preferire
le maschere facciali che offrono una protezione più ampia. La
maschera è realizzata da una
scocca in materiale polimerico, trasparente o opaco,
mentre l’oculare è solitamente in policarbonato con trattamento
antigraffio esterno e antiappannante interno. In genere le maschere
sono utilizzate al posto degli occhiali per la loro particolare conformazione che permette una maggiore adesione al volto dell’operatore
riducendo i rischi di penetrazione di corpi, schizzi, e polveri.
Per la contemporanea protezione del capo
il loro utilizzo può essere associato all’uso del casco. Inoltre,
come per gli occhiali, esistono in commercio mascherine con
filtri per i differenti tipi di saldature, e per le esposizioni
a raggi infrarossi, ultravioletti e LASER. Le maschere e le
maschere a casco sono utilizzate soprattutto per proteggere
gli operatori durante le fasi di saldatura e dove vi è il rischio
di proiezione di materiale, proiezione di corpi caldi, e in
tutte quelle situazioni ove la protezione dell’apparato visivo
deve essere associata a quella del volto o dell’intero capo.
Le visiere sono utilizzabili in molteplici
situazioni produttive dove si riscontra la possibile esposizione
a liquidi, corpi contundenti e a calore. Sono inadatte per la
loro conformazione alla protezione da polveri e gas. E’ da ricordare che l’occhio e le
sue mucose devono essere difesi quindi da attacchi meccanici,
fisici e chimici, ma devono conservare nel tempo anche la loro
capacità visiva, senza che questa subisca alterazioni. I DPI
devono quindi possedere una struttura resistente e essere dotati
di oculari o schermi capaci di proteggere l’occhio dai diversi
tipi di radiazioni (raggi infrarossi, raggi ultravioletti, radiazioni
laser) prodotte durante le lavorazioni. L’uso di DPI per le vie respiratorie
è necessario ogni volta
che si è in presenza di concentrazioni - considerate superiori
alla soglia limite – di sostanze e preparati pericolosi o asfissianti,
sotto forma di gas, vapori, polveri, fumi, nebbie. Tutti
i dispositivi di protezione delle vie respiratorie filtranti
contro gli aerosol solidi o liquidi o contro gas irritanti,
pericolosi tossici o radiotossici, rientrano nella terza categoria
dei DPI. Questa categoria di DPI ha lo scopo di protegge principalmente
dai seguenti pericoli: a) Inalazione di polveri, fumi e nebbie L'elemento inquinante è costituito
da particelle di materiale solido (per polveri e fumo) o materiale
liquido (per le nebbie) in sospensione nell'aria. Le particelle,
che aumentano la loro pericolosità al ridursi delle
loro dimensioni, possono essere:
-
polveri,
che si formano quando i materiali solidi sono frantumati, sgrossati,
sabbiati o molati;
-
nebbie, ovvero
particelle liquide che si formano durante lavori che comportano,
ad esempio, la spruzzatura di un prodotto;
-
fumi, ovvero
piccolissime particelle metalliche generate durante, ad esempio,
la saldatura (lavorazioni ad alta temperatura). b) Aerosol di gas e vapori I gas ed i vapori hanno un comportamento
similare all’aria e con essa si mescolano facilmente. In concentrazioni
sufficientemente elevate possono causare la morte, specie se
si sostituiscono all'ossigeno (provocano soffocamento). I gas
si diffondono rapidamente anche a grande distanza dalla loro
sorgente che può essere il risultato della manipolazione/lavorazione
di prodotti chimici.
I vapori sono la forma gassosa di materiali che normalmente
– a temperatura ambiente – si trovano allo stato liquido (a
volte anche solido) e che per effetto dell’aumento di temperatura
cambiano di stato facendo evaporare il liquido (nello stesso
modo in cui il vapore acqueo evapora dall'acqua). Si generano,
ad esempio, durante la posa di impermeabilizzanti a caldo. c) Insufficienza di ossigeno L'insufficienza di ossigeno si verifica
quando la percentuale di ossigeno nell'aria scende al di sotto
del normale livello: 21% (la minima concentrazione ammissibile
per la respirazione umana è il 17%). L'insufficienza di ossigeno
può verificarsi in ambienti limitati come pozzi, serbatoi, fogne,
ecc. a causa di una inadeguata ventilazione naturale, oppure
può essere causata dal fuoco, da una reazione chimica, o quando
altri gas eliminano l'ossigeno dall'aria. In questi casi l’uso
di respiratori con immissione di aria è la protezione ideale.
I DPI per la protezione delle vie respiratorie,
che devono essere scelti in relazione alla tipologia di rischio, sono costituiti da
un facciale che copre solitamente il mento, la bocca e il naso:
l'utilizzatore viene messo in grado di respirare l'aria per
l'azione di un filtro, oppure quella proveniente da una qualsiasi
altra fonte di alimentazione. Tra questi DPI si distinguono
respiratori isolanti (indipendenti dall’atmosfera ambiente)
e apparecchi respiratori a filtro (dipendenti dall’atmosfera
ambiente). I DPI per la protezione delle vie respiratorie
vengono classificati anche in base alla classe di protezione
determinata dalla differente resistenza alle varie sostanze
nocive e loro concentrazione. Oltre al facciale,
che costituisce l’elemento di unione con l’utilizzatore, elemento
di fondamentale importanza per la protezione dal rischio chimico
è il filtro, che costituisce la parte determinante della maschera.
Se ne distinguono schematicamente tre tipi
principali: - Filtri antiparticelle (o antipolvere):
devono trattenere il materiale particellare in sospensione nell’ambiente;
sono quindi costituiti da materiale filtrante di varia natura
dotato di porosità variabile in rapporto alle esigenze richieste
ed alle caratteristiche del materiale filtrante; - Filtri antigas, sono dotati di cartucce
con involucro esterno di metallo e plastica riempite con sostanze
idonee a trattenere i gas ed i vapori nocivi secondo il principio
dell’ “adsorbimento” o per “chemiadsorbimento”. Nei filtri antigas
il parametro di riferimento è la “capacità di trattenimento”,
dipendente dalle caratteristiche del materiale filtrante, dell’inquinante,
nonché dalla quantità e dal trattamento cui è stato sottoposto
il materiale filtrante; - Filtri combinati proteggono sia dalle polveri
che dai gas. Il filtro antipolvere viene posizionato sulla parte
anteriore.
In queste tipologie di DPI , per i quali esiste una ricca
varietà di norme UNI, uno dei requisiti fondamentali è il fattore di protezione (FP),
espresso dal rapporto tra la concentrazione dell’inquinante
nell’aria dell’ambiente (A) e la concentrazione dell’inquinante
nell’aria inspirata (P). Il fattore di protezione indica quante
volte viene abbattuta la concentrazione di inquinante una volta
attivato il dispositivo di protezione individuale. Il limite
massimo di esposizione all’inquinante con un determinato respiratore
è dato dal FP * TLV (valore limite soglia).
Il FP richiesto è dato dal rapporto tra la concentrazione
ambientale dell’inquinante ed il rispettivo TLV. E’ infine da tener
presente che un buon dispositivo di protezione delle vie respiratorie
deve possedere particolari requisiti e in particolare:
-
non affaticare
il normale ciclo di inspirazione/espirazione;
-
essere compatibile
con lo stato di salute dell’utente;
-
permettere
una vestibilità confortevole nel rispetto di alcuni criteri
ergonomici essenziali quali leggerezza, adattabilità, possibilità
di scelta tra taglie differenti, aderenza, assenza di asperità,
spigoli vivi, sporgenze che potrebbero provocare lesioni;
-
garantire
una visibilità ottimale;
-
permettere
un’emissione vocale comprensibile;
-
permettere
con facilità operazioni di manutenzione ordinaria;
-
essere resistente
alle sollecitazioni
-
permettere
il riconoscimento facile ed immediato di mal funzionamento.
[1] UdR Sicurezza: Cesira Macchia, Gabriella Ablondi, Edda Armanni, Maurizio Figiani, Gabriele Gotti, Roberta Martini, Francesca Ravetta, Chiara Valenzano. [2] I dati statistici e le osservazioni relative sono riportati per quanto riguarda l’Italia, la Toscana e la Provincia di Livorno nel capitolo seguente.
[3]
Vedi Direttiva 89/656/CEE relativa alle
prescrizioni minime di sicurezza e di salute per l’uso da
parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale,
recepita dal nostro ordinamento con il D.Lgs. 19 settembre
1994, n. 626 e il D.Lgs. 19 marzo 1996, n.242 “Attuazione
delle direttive 89/391/CEE, 896/54/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE,
90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE 90/679/CEE riguardanti
il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori
sul luogo di lavoro”.
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