1
- Fonti legislative. Normativa previgente ed assetto attuale
L’interesse del Legislatore in tema
di sicurezza può essere fatto risalire agli inizi del novecento;
infatti già nel 1929 la Conferenza Internazionale del Lavoro
del BIT (Boureau International
du Travail)
aveva invitato gli Stati aderenti ad emanare norme che vietassero
di fornire o installare macchine, destinate all’impiego in processi
produttivi, sprovviste di dispositivi di sicurezza. In Italia
furono emanati negli anni ‘50 i D.P.R. 547/55 “Norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro”, 164/56 “Norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni” e 303/56 “Norme
generali per l’igiene del lavoro”.
I D.P.R. n. 547 e n. 164 contengono
nella prima parte un serie di disposizioni
di carattere generale, nelle quali vengono stabilite le misure
e le cautele da adottare per eliminare o ridurre le fonti di pericolo
nelle situazioni in cui si possono realizzare con maggior frequenza
(i luoghi di passaggio, i ponti, le scale, le impalcature, gli
ingranaggi scoperti o accessibili, gli utensili, le aperture di
alimentazione, ecc.), mentre nella seconda parte la normativa
assume forma più specifica e dettagliata, individuando gruppi
di macchine o di impianti, omogenei dal punto di vista tecnico,
costruttivo o d’impiego, per ciascuno dei quali vengono dettate
disposizioni che di caso in caso vanno a sostituire, integrare
o completare quelle misure e cautele predisposte in via generale.
La scelta di emanare una normativa
di questo tipo, comportava il rischio di una precoce obsolescenza
della stessa, rischio che è stato almeno parzialmente evitato
sia dall’art. 2087 del Codice Civile, che fissa gli obblighi dell’imprenditore
anche in tema di sicurezza sul lavoro (“L'imprenditore è tenuto
ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo
la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie
a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori
di lavoro”), sia dalla possibilità data agli Organi di Vigilanza
di estendere l’obbligo protezionistico con il cosiddetto “potere
dispositivo”.
Ai tre decreti ricordati sono soggette
tutte le attività cui siano addetti lavoratori
subordinati o ad essi equiparati; occorre qui ricordare che per
lavoratori subordinati, ai fini prevenzionistici,
sono da intendere coloro i quali prestano lavoro alle dipendenze
altrui fuori dal proprio domicilio, con o senza retribuzione.
Altri interventi legislativi sono
contenuti nella Legge n. 300 del 1970, “Statuto dei lavoratori”,
all’art. 9 (“I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno
diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere
la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee
a tutelare la loro salute e l’integrità fisica”), con il quale si riconosce al lavoratore il diritto di controllo
e di collaborazione sulle misure di prevenzione, e nella Legge
n. 833 del 1978, meglio conosciuta come “Legge di riforma sanitaria”,
in cui vengono riorganizzati i compiti della pubblica amministrazione
in materia di sicurezza e salute nei
luoghi di lavoro, compresa la funzione di vigilanza e di controllo.
Da ultimo, con l’emanazione del D.Lgs. 626/94 e successive integrazioni e modificazioni, sono
state recepite nel nostro ordinamento
legislativo ben otto Direttive Comunitarie in materia di salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro; ciò ha permesso di disegnare
un sistema normativo omogeneo per i diversi settori produttivi,
conformemente agli indirizzi proposti dall’Unione Europea, informato
ad una nuova concezione della sicurezza che introduce, assieme
alla prevenzione tecnologica propugnata dalla precedente normativa,
i nuovi principi della prevenzione soggettiva, organizzata e dotata
di procedure specifiche.
Al fine di raggiungere questo obiettivo complessivo, le nuove normative contengono una serie di disposizioni di notevole
importanza prevenzionale, che prevedono
l’organizzazione del “comparto” sicurezza in tutti i luoghi di
lavoro, l’obbligatorietà della Valutazione dei Rischi e la individuazione
delle Misure di Prevenzione e Protezione.
Più in particolare, il decreto Legislativo
626/94 introduce una migliore puntualizzazione delle responsabilità,
istituisce il Servizio di Prevenzione e Protezione e prevede la
nomina di figure determinate, addette alla prevenzione ed alla
protezione nei luoghi di lavoro; impone l’elezione o la designazione
del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, la Valutazione
dei Rischi, la formalizzazione di determinati documenti, la
obbligatorietà della informazione e formazione dei lavoratori,
nonché il mantenimento e l’aggiornamento dei principi di sicurezza
in occasione di modificazioni di tipo tecnico o tecnologico, di
tipo organizzativo o di impiego del personale.
In definitiva, la prevenzione deve
essere attuata utilizzando strumenti di tipo Organizzativo quali:
·
Servizio di
Prevenzione e Protezione
·
Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione
·
Rappresentante
dei Lavoratori per la Sicurezza
·
Medico competente
·
Addetto al
Pronto Soccorso
·
Addetto all’Evacuazione
·
Addetto all’Antincendio
e strumenti di tipo Gestionale come:
·
Valutazione
dei Rischi
·
Individuazione
delle misure di Prevenzione e Protezione
·
Programma di
attuazione delle misure individuate
·
Definizione
di Procedure aziendali
·
Informazione
·
Formazione
·
Consultazione
·
Riunioni periodiche
Il già citato D.Lgs.
626/94 definisce il Datore di lavoro come il soggetto titolare
del rapporto di lavoro con il lavoratore, ovvero come il soggetto
che ha la responsabilità dell’impresa stessa, in
quanto titolare dei pieni poteri decisionali e di spesa.
In capo al Datore di lavoro vengono così
posti diversi obblighi tra quelli sopra citati:
·
designazione degli addetti al servizio di prevenzione e protezione, nonché
nomina del Responsabile e comunicazione di detta nomina all’Ispettorato
del lavoro ed all’ASL competente per territorio;
·
nomina del Medico Competente nei casi in cui sia previsto;
·
valutazione dei rischi presenti in azienda ed elaborazione del relativo
Documento;
·
individuazione delle misure di Prevenzione e Protezione, e programmazione
della loro esecuzione;
·
designazione dei lavoratori incaricati della gestione delle emergenze,
ed in particolare dell’attuazione delle misure di prevenzione
incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori i
caso di pericolo e di pronto soccorso;
·
consultazione dei lavoratori, tramite la partecipazione del Rappresentante
dei Lavoratori per la Sicurezza, sulle questioni riguardanti la
sicurezza e la salute sul luogo di lavoro;
·
informazione e formazione dei lavoratori riguardo ai rischi e le misure
di prevenzione e protezione;
·
effettuazione di una riunione con le figure che si occupano di Sicurezza,
almeno una volta l’anno se l’azienda ha più di 15 dipendenti;
·
coordinazione delle attività di prevenzione con chi fornisce prestazioni
d’opera;
·
gestione ed aggiornamento del Registro Infortuni, su cui vanno annotati
gli infortuni che comportano almeno un giorno di assenza dal lavoro;
·
fornitura ai lavoratori dei Dispositivi di Protezione Individuali.
Il Servizio di Prevenzione
e Protezione partecipa attivamente
alle varie fasi di organizzazione e gestione della sicurezza,
individuando i fattori di rischio presenti in azienda e le misure
di sicurezza da adottare; in questo modo svolge la propria azione
di supporto verso il Datore di lavoro nell’elaborazione del Documento
relativo alla valutazione dei rischi e nella programmazione della
formazione ed informazione dei lavoratori.
Il Datore di lavoro può organizzare
il Servizio sia con dipendenti dell’azienda sia facendo ricorso
a risorse esterne; anche come Responsabile può essere nominato
sia un dipendente che una persona esterna, ma in ogni caso la
persona scelta deve possedere attitudini e capacità adeguate;
come già accennato, il nominativo deve
essere comunicato agli Enti preposti al controllo, ed a tale comunicazione
va allegata una dichiarazione riportante i compiti svolti in materia
di prevenzione e protezione, i periodi in cui detti compiti sono
stati svolti, ed un curriculum professionale.
In alcuni casi, e cioè quando il Datore di lavoro sia titolare di una azienda
agricola che impiega fino a 10 dipendenti a tempo determinato,
egli stesso può svolgere direttamente i compiti del Servizio di
Prevenzione e Protezione; in questo caso nella comunicazione all’Ispettorato
del Lavoro ed all’ASL vanno inserite: una dichiarazione attestante
la capacità di svolgimento dei compiti relativi al servizio di
prevenzione e protezione; una relazione dell’andamento degli infortuni
e delle malattie professionali in azienda negli ultimi tre anni;
una dichiarazione attestante l’adempimento degli obblighi relativi
alla valutazione dei rischi, alla stesura ed alla custodia in
azienda del documento o, in alternativa (per le aziende con meno
di 10 addetti e per le imprese familiari), di aver autocertificato
per iscritto l’avvenuta valutazione.
Qualora il datore di lavoro abbia
assunto questo ruolo successivamente
al 1.1.1997, è richiesta altresì l’attestazione di frequenza ad
un corso di formazione sulla sicurezza.
Il Medico Competente si occupa di:
·
effettuare la sorveglianza sanitaria prevista dalla normativa (visite
preventive e periodiche) e valutare l’idoneità del lavoratore
in relazione alle mansioni effettivamente svolte; redigere ed
aggiornare la cartella sanitaria e di rischio (da conservare in
azienda) per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria;
·
collaborare con il Datore di lavoro e con il servizio di prevenzione
alla predisposizione delle misure per la tutela della salute ed
alla formazione ed informazione dei lavoratori;
·
visitare gli ambienti di lavoro una o due volte l’anno, assieme al
Responsabile del Servizio di Prevenzione;
·
partecipare alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori;
·
collaborare con il Datore di lavoro alla predisposizione del servizio
di pronto soccorso;
·
denunciare le malattie professionali di cui viene a conoscenza.
Il Datore di lavoro nomina il Medico
Competente tra le figure professionali specializzate in Medicina
del lavoro o altre specializzazioni individuate con apposito
decreto dal Ministero della Sanità; può essere scelto un dipendente
di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con
il Datore di lavoro, oppure un libero professionista o, anche,
un dipendente diretto del Datore di lavoro.
In tutte le aziende
i Lavoratori devono eleggere o designare il proprio Rappresentante
per la sicurezza, che deve ricevere un’adeguata formazione, ed
assume compiti propositivi e consultivi; naturalmente, egli non
può subire alcun pregiudizio a causa dello svolgimento di questa
attività. Il Datore di lavoro non è obbligato in alcun modo dalla
normativa riguardo la mancata nomina
di questa figura, nel qual caso può solamente ribadire ai lavoratori
questo obbligo, ed eventualmente prendere atto della perdurante
vacanza.
In materia di salute e sicurezza
i lavoratori hanno una serie di diritti:
·
avere un Rappresentante;
·
essere informati;
·
essere formati;
·
essere addestrati;
·
essere dotati di adeguati dispositivi di protezione individuale;
·
disporre di adeguata sicurezza in caso di emergenza;
·
usufruire, quando necessaria, della Sorveglianza Sanitaria;
ed una serie di doveri:
·
osservare tutte le disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza;
·
utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro;
·
utilizzare, conservare correttamente e non manomettere i dispositivi
di protezione individuale;
·
non travalicare in alcun caso le proprie competenze;
·
segnalare ai superiori e al Rappresentante per la Sicurezza difetti
ed inefficienze riscontrati sul luogo di lavoro;
·
sottoporsi ai programmi di informazione e formazione;
·
sottoporsi ai controlli sanitari ed alla Sorveglianza Sanitaria.
La Riunione Aziendale sulla Sicurezza
è l’occasione di incontro tra tutte le
figure che operano nella sicurezza in azienda; nelle aziende che
occupano più di 15 dipendenti la Riunione deve essere indetta
dal Datore di lavoro almeno una volta l’anno, mentre in quelle
minori è obbligatoria solo se viene richiesta espressamente dal
Rappresentante dei lavoratori, oppure se si sono verificate significative
variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, come l’introduzione
di nuove macchine, attrezzature o tecnologie che hanno riflessi
sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori.
Lo scopo della Riunione sulla sicurezza
deve essere, almeno, l’approvazione di:
·
Documento della
Sicurezza;
·
Elenco dei
Dispositivi di Protezione Individuale;
·
Programmi di
informazione e formazione dei lavoratori.
Alla Riunione
devono partecipare:
·
Datore di lavoro
o suo rappresentante;
·
Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione;
·
Rappresentante
dei lavoratori;
·
Medico Competente
(ove nominato).
Il Datore di lavoro è inoltre obbligato
a scrivere il Verbale della Riunione, e ad allegarlo al Documento
della Sicurezza.
2
- Criteri di riferimento per la stesura del documento di valutazione
del rischio
La valutazione dei rischi da parte
del datore di lavoro e la predisposizione
dei conseguenti documenti è uno degli elementi di maggiore rilevanza
del D.Lgs 626. Essa rappresenta, infatti, l'asse portante della
nuova filosofia in materia di tutela della
salute dei lavoratori che vede nel datore di lavoro il protagonista
attivo della funzione prevenzionale; costituisce, inoltre, il perno intorno al quale
deve ruotare l'organizzazione aziendale della prevenzione.
L'applicazione dei primi 2 commi
dell'art. 4(1) può fornire anche uno strumento per avviare una riorganizzazione
razionale e pianificata della produzione nei suoi diversi componenti (macchine, procedure, spazi, organizzazione, ...)
al fine di raggiungere l'obiettivo di una sostanziale riduzione
dei fattori di rischio presenti, nel rispetto della legislazione
nazionale e delle norme di buona tecnica prodotte da organismi
accreditati (UNI-EN, CEI, etc...).
La necessità che nell'impresa si
proceda ad una stretta integrazione tra la produzione, tutte le
funzioni aziendali ad essa collegate,
e la prevenzione dei rischi da essa derivanti al fine di progettare
"lavoro sicuro", è chiaramente esplicitata tra le misure
generali di tutela indicate nell'art. 3. Tra queste, infatti,
al comma 1 lettera d) viene indicata
"la programmazione della prevenzione mirando ad un complesso
che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche
produttive ed organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei
fattori dell'ambiente di lavoro".
La valutazione del rischio deve essere,
pertanto, uno strumento fortemente finalizzato
alla programmazione delle misure di prevenzione e più in generale
alla organizzazione della funzione e del sistema prevenzionale
aziendale.
Da quanto sopra emerge l'indicazione
che l'elemento centrale degli adempimenti previsti dall'art. 4
appare essere "l'individuazione delle misure preventive e
di protezione" attuate o programmate, per la cui realizzazione
dovranno essere scelti tempi e metodi congrui con la valutazione
di gravità del rischio.
Per la concreta attuazione di quanto
disposto dal Decreto Legislativo in merito alla valutazione dei
rischi, tenuto conto dell'orientamento della stessa a fini di
programmazione di interventi di prevenzione, l'attività può essere avviata
attraverso una fase preliminare, consistente nel procedere all'identificazione
dei centri e delle fonti di pericolo sulla base dell'analisi del
processo produttivo e dell'organizzazione del lavoro, nonché di
tutta la documentazione e le informazioni disponibili ed utili.
Se nell'espletamento della valutazione
viene individuato un pericolo per la
salute o la sicurezza, la cui esistenza appare certa e fonte di
possibile danno ai lavoratori, che sia riferibile o meno ad una
mancata messa in atto di quanto previsto dalla normativa esistente,
le misure di tutela eventualmente individuabili possono opportunamente
essere attuate o programmate senza acquisire ulteriori elementi
valutativi, se non quelli strettamente necessari alla definizione
della priorità da assumersi per gli interventi stessi. Se, invece,
un possibile pericolo, connesso all'attività lavorativa in esame,
è stato in precedenza valutato con esito
favorevole (rischio assente o molto limitato) ovvero il pericolo
stesso è stato ridotto o eliminato con l'adozione di opportune
misure (può essere il caso, ad esempio, della valutazione dell'esposizione
dei lavoratori a piombo, amianto e rumore ai sensi del D.Lgs
277/91), la valutazione dei rischi ex art. 4 potrà limitarsi ad
una presa d'atto di tali risultanze, previa verifica della loro
attualità. Al contrario, là dove l'esistenza di un pericolo risulti dubbia, o incerta la definizione delle possibili conseguenze,
o complessa l'individuazione delle appropriate misure di prevenzione,
sarà opportuno condurre una valutazione dei rischi che si articoli
in un percorso logico e procedurale più completo ed approfondito.
Più in particolare, al fine di una
sua corretta collocazione temporale e
per una maggiore rappresentatività delle reali condizioni di lavoro,
la valutazione dovrà essere fatta precedere da un'attenta ricognizione
circa le caratteristiche dell'attività lavorativa (e della relativa
variabilità in relazione al mutare delle condizioni) con particolare
riferimento all'esistenza di attività di servizio e supporto a
quella principale (pulizia, manutenzione), od occasionali (guasti,
riattivazione di impianti); non dovrà essere trascurata la considerazione
di prestazioni eventualmente erogate dai lavoratori all'esterno
dell'abituale luogo di lavoro, come pure la possibilità di presenza
sul luogo di lavoro di dipendenti di altre aziende o di utenti.
Dovrà perciò essere scelta una sequenza
logica opportuna, da adottare nell'analisi dei pericoli e dei
rischi, come ad esempio:
·
stesura di una sequenza ordinata delle operazioni nel ciclo di lavoro;
·
evidenziazione dei compiti assegnati ai lavoratori;
·
rappresentazione degli ambienti di lavoro aggregati in base alla tipologia
("strutture", "ricoveri", "officine",
ecc.),
avendo cura di esplicitare la scelta fatta
e di attenersi ad essa in modo coerente.
Tra le informazioni e le fonti informative
dovrebbero essere presenti:
·
layout dei "reparti" (strutture, ricoveri, officine,
stalle, serre, ecc.);
·
numero di addetti ripartito per reparti e per mansioni con breve
descrizione delle operazioni svolte;
·
denunce di impianti e verifiche periodiche;
·
registro delle manutenzioni ordinarie e straordinarie;
·
schede di sicurezza di sostanze/prodotti/apparecchiature/impianti
in uso;
·
schede tecniche e manuali operativi di macchine e impianti;
·
risultati di precedenti indagini condotte sulla sicurezza e sull'igiene
del lavoro inclusi verbali di prescrizione degli organi di vigilanza;
·
risultati di eventuali misurazioni di igiene industriale;
·
risultati collettivi anonimi di controlli sanitari periodici;
·
denunce INAIL su casi di malattie professionali;
·
dati sugli infortuni (dall'apposito registro) e incidenti avvenuti;
·
atti autorizzativi;
·
procedure di lavoro scritte, ordini di servizio;
·
elenco e caratteristiche dei dispositivi di protezione individuale
forniti ai lavoratori;
·
modalità pratiche di distribuzione/ricambio
dei dispositivi di protezione individuale;
·
conoscenze ed esperienze dei lavoratori e dei preposti;
Per la conduzione della valutazione
e la redazione del documento si possono ritenere utili le seguenti
fasi:
·
identificazione dei fattori di rischio;
·
identificazione dei lavoratori esposti;
·
stima dell'entità delle esposizioni;
·
stima della gravità degli effetti che ne possono derivare;
·
stima della probabilità che tali effetti si manifestino;
·
verifica della disponibilità di misure tecniche, organizzative, procedurali,
per eliminare o ridurre l'esposizione e il numero di esposti;
·
verifica dell'applicabilità di tali misure;
·
definizione di un piano per la messa in atto delle misure individuate;
·
verifica dell'idoneità delle misure in atto;
·
redazione del documento;
·
definizione di tempi e modi per la verifica e/o l'aggiornamento della
valutazione.
Verranno di seguito esplicitate solamente le fasi che interessano direttamente
la procedura di rilevazione del rischio.
Fase
1
- Nel processo di identificazione dei
fattori di rischio, la valutazione riguarderà i rischi derivanti
dall'attività lavorativa che risultino ragionevolmente prevedibili:
andranno quindi conciliate le contrapposte esigenze di esaustività
della valutazione e di identificazione dei principali problemi
di prevenzione, peculiari della specifica attività, su cui concentrare
l'analisi. L'identificazione dei fattori di rischio sarà guidata
dalle conoscenze disponibili su norme di legge e standard tecnici,
dai dati desunti dall'esperienza e dalle informazioni raccolte.
Questo procedimento permetterà di identificare i pericoli non
soltanto in base ai principi generalmente noti, ma anche relativamente
all'esistenza di fattori di rischio peculiari delle condizioni
in cui ha luogo l'attività lavorativa.
Fase
2
- Per l'identificazione dei lavoratori esposti, in
relazione alle situazioni pericolose messe in luce dalla
prima fase della valutazione, si evidenzierà il numero dei lavoratori
che è possibilmente esposto ai fattori di rischio, individualmente
o come gruppo omogeneo. Sarebbe opportuno a tal fine che i lavoratori
esposti venissero identificati nominalmente,
sia in funzione della eventuale segnalazione al medico competente
per gli adempimenti in merito alla sorveglianza sanitaria, sia
per la programmazione dei successivi interventi di informazione
e formazione.
Fase 3 - Una prima stima dell'entità delle esposizioni (attuata
con procedimenti semiquantitativi) implicherà una valutazione
della frequenza e della durata delle operazioni e lavorazioni
che comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Si verificherà probabilmente, in talune
situazioni, la necessità o l'opportunità di procedere ad una stima
più precisa delle esposizioni ai pericoli, tramite misure di igiene
industriale o a criteri di valutazione più specifici e dettagliati
nei casi in cui vi sia esposizione ad agenti chimico-fisici
e/o qualora si siano verificati (o si possano prevedere) infortuni/incidenti
gravi. Va sottolineato che l'art. 4 non
fa riferimento esplicito, per l'effettuazione della valutazione,
ad una valutazione dell'esposizione. Al contrario, la quantificazione
dell'esposizione è esplicitamente citata a proposito di
agenti cancerogeni (art. 70, comma 1), con particolare
riferimento, però, alla verifica di efficacia delle misure adottate
(art. 64 e 69). A misure di igiene industriale sembra riferirsi anche l'art.17, là dove prevede che il medico competente riceva i risultati
del controllo dell'esposizione dei lavoratori, senza peraltro
precisare quando ciò sia previsto.
In prima approssimazione si può affermare
che il ricorso a misure di igiene industriale
o comunque a criteri più specifici ed approfonditi di valutazione
dell'esposizione trova un suo opportuno campo di applicazione:
·
nei casi in cui è esplicitamente previsto (cancerogeni, fattori di rischio
normati dal D.Lgs
277/91, radiazioni ionizzanti);
·
nei casi di esposizione a sostanze dotate di elevata tossicità intrinseca
e/o in grado di provocare incidenti (atmosfere infiammabili/esplosive)
o danni alla salute in basse concentrazioni;
·
nella verifica di efficacia dei sistemi di prevenzione adottati
·
se necessario ai fini della progettazione o realizzazione di idonei presidi
di bonifica;
·
nel dirimere i casi dubbi o controversi;
·
qualora si siano verificati infortuni/incidenti gravi o con dinamiche
ripetitive.
In merito alla programmazione degli
interventi, le conclusioni desunte dall'identificazione dei fattori
di rischio e dei lavoratori esposti, dell'entità dell'esposizione,
della probabilità con cui possono verificarsi effetti dannosi
e dell'entità delle possibili conseguenze, orienteranno le azioni
conseguenti alla valutazione stessa.
Infine, la valutazione delle misure
di prevenzione e protezione non dovrà trascurare la verifica di idoneità e di efficacia di quelle già in essere e, progressivamente,
di quelle via via adottate, ed il piano
di attuazione dovrà contemplare i tempi previsti per la realizzazione
degli interventi, la verifica della loro effettiva messa in atto,
la verifica della loro efficacia, la revisione periodica in merito
ad eventuali variazioni intercorse nel ciclo produttivo o nell'organizzazione
del lavoro che possano compromettere o impedire la validità delle
azioni intraprese.
3
- Applicazione delle normative di Prevenzione nel settore agricolo
Il D.Lgs. 626/94, e successive modificazioni ed integrazioni,
si applica nel settore agricolo in particolare alle aziende in
cui sono presenti:
·
lavoratori a tempo indeterminato;
·
lavoratori a tempo determinato;
·
soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto.
Operare a favore della prevenzione
e protezione dai rischi sul lavoro, significa adoperarsi per diminuire
e annullare nel tempo, gli infortuni e le malattie professionali.
I rischi di natura infortunistica
sono quelli responsabili del potenziale verificarsi di danni o
menomazioni fisiche (più o meno gravi), subite dai lavoratori
a seguito di un incidente imprevisto. Gli infortuni sono
l'effetto di un contatto fisico-traumatico
tra un oggetto e l'uomo (contatto meccanico, elettrico, chimico,
termico, etc.).
Le cause di tali rischi sono da ricercare,
almeno nella maggioranza dei casi, in un non idoneo assetto delle
caratteristiche di sicurezza dell'ambiente di lavoro, delle macchine
e/o delle apparecchiature utilizzate, delle modalità
operative, dell'organizzazione del lavoro, etc.
I rischi per la salute, che possono
generare malattie professionali, sono quelli responsabili della
potenziale compromissione dell'equilibrio
biologico del personale addetto ad operazioni o a lavorazioni, che comportano
l'emissione nell'ambiente di fattori di rischio, di natura chimica,
fisica e biologica.
Costituiscono potenziali cause di infortuni:
·
fabbricati, stalle, ricoveri attrezzi, depositi, ecc. (per scivolamenti,
cadute dall'alto, incendio, ecc.;
·
macchine agricole per contatto
con organi rotanti, urti, ribaltamenti, ecc;
·
attrezzature, essiccatoi, utensili d'officina, ecc. (per incendio, contatto
con organi rotanti);
·
impianti elettrici, termici, ecc. (per folgorazioni, incendio, ecc.);
·
colture e allevamenti (per cadute da alberi e scale, traumi e ferite
causate da contatto con vegetali e da aggressioni provocate da
animali, ecc.).
Costituiscono potenziali cause di malattie
professionali:
·
rumore;
·
amianto;
·
microclima;
·
vibrazioni;
·
agenti atmosferici;
·
movimentazione carichi pesanti;
·
sostanze pericolose;
·
agenti cancerogeni;
·
agenti biologici;
·
polveri e agenti allergizzanti;
·
radiazioni.
Sia gli infortuni sia le malattie
professionali sono dovuti agli effetti
negativi sui lavoratori di fenomeni che obbediscono principalmente
a fattori fisici, chimici e biologici non desiderati e non previsti,
nonché ad ulteriori fattori secondari, quali quelli psicologici
e comportamentali, ambientali esterni, organizzativi e gestionali,
quelli legati a disergonomie, che, in
alcuni casi sono da tenere in debita considerazione.
Rischi dovuti a fattori fisici
Urti, colpi, schiacciamenti,
investimenti e molti altri danni, come ustioni e folgorazioni,
sono originati da fattori fisici. E' da notare che in un singolo evento più fattori possono
agire contemporaneamente.
In agricoltura i fattori di rischio
più frequenti sono quelli dovuti:
·
alla forza di gravità (cadute di oggetti e di persone, scivolamenti,
ecc.) o al movimento di organi meccanici ed oggetti (urti, colpi,
scontri, ribaltamenti, impennamenti,
cesoiature, schiacciamenti, ecc.);
·
ad ustioni e traumi
da calore per incendio e scoppio (anche le folgorazioni non sono
infrequenti);
·
a danni da rumore e
da movimentazione di pesi e lavorazioni non ergonomiche;
·
a colpi di freddo e
di calore in ambienti interni o esterni, in condizioni di temperature
estreme;
·
a vibrazioni (del corpo
intero o al sistema mano-braccio), causate da lavorazioni con
trattici o altre macchine agricole;
·
a disturbi frequenti
dell'apparato respiratorio, causati da ambienti ad alta concentrazione
di polveri (es. essiccatoi, mulini, ecc.).
Rischi dovuti a fattori chimici
Sono i fattori legati alle proprietà
delle sostanze chimiche presenti ed utilizzate nell’attività agricola.
Asfissia, avvelenamenti (acuti o lenti), ustioni chimiche (da
sostanze molto corrosive), irritazioni e gravi danni alla pelle
o ad organi interni, allergie e crisi respiratorie derivano dal
toccare, respirare o ingerire sostanze chimicamente molto reattive
e pericolose.
Queste sostanze solitamente si presentano
come liquidi o solidi, acidi e basi, aerosol, fumi, vapori e gas
tossici, che entrano nella composizione/formulazione di prodotti
industriali o di esalazioni naturali da materie organiche agricole (fermentazioni,
putrefazioni, ecc).
I pericoli chimici sono spesso sottovalutati,
perché derivano dalla presenza nell'aria di gas "invisibili",
anche perché, per determinate sostanze, ci si può accorgere dei
danni solo dopo anni e anni di lavoro, quando la salute del lavoratore
è ormai compromessa.
Rischi dovuti a fattori biologici
(contatto con animali e vegetali)
In questo contesto,
si ritiene utile comprendere tutte le azioni dannose arrecate
al lavoratore da organismi viventi, sia da microorganismi
che da animali, presenti nel.le
varie attività agricole.
I microrganismi (batteri, funghi,
virus, ecc. - che in agricoltura si riscontrano soprattutto in
carcasse, resti/residui, deiezioni, sottoprodotti del metabolismo
animale) agiscono per inalazione, ingestione e contatto, e causano
principalmente infezioni, allergie e intossicazioni.
Gli animali, che agiscono per aggressione
e difesa, causano principalmente danni di natura infortunistica,
come traumi, schiacciamenti e ferite; queste ultime, inoltre,
possono essere anche momento di trasmissione di
infezioni causate dai microrganismi di cui sopra.
Mentre la tutela dei lavoratori dai microrganismi
pericolosi trova riferimento in legislazioni specifiche, lo stesso
non si può dire per i pericoli collegati a:
·
allevamenti;
·
animali domestici e selvatici;
·
piante coltivate e selvatiche.
Questi pericoli, così tipici del
settore, agiscono secondo leggi diverse da quelle descritte precedentemente,
poiché, con riferimento agli animali, interagiscono fortemente
con il comportamento individuale e con le caratteristiche della
specie. Spesso sono stati classificati nella statistica infortunistica
per gli effetti fisici che arrecano, ma ciò risulta
non corretto, soprattutto al fine di individuare le precauzioni
da adottare per prevenire questo tipo di incidenti.
Rischi dovuti a fattori psicologici e comportamentali
Per fattori psicologici comportamentali
si intendono quegli aspetti dell'attività
lavorativa che possono provocare danni indiretti, derivati da
disattenzioni od errori, causati da stati di disagio connesso
alle attività lavorative svolte.
Quest'ultima fattispecie, che si genera
da interazioni negative tra attrezzature di lavoro, ambiente fisico,
comportamento individuale e di gruppo e tipologia di lavoro, può,
generalmente, ricondursi a:
·
difetto di stimoli (noia);
·
eccesso di stimoli (super attività);
·
distorsione degli stimoli (disagio);
·
comunicazioni e relazioni problematiche (conflittualità).
Per la varietà di
azioni lavorative e la particolarità degli ambienti di
lavoro dell'agricoltura, l'eventualità di lavori monotoni e ripetitivi
in ambienti chiusi, o al contrario a contatto o sotto pressione
continua con il pubblico, è rara e improbabile.
Occorre prestare attenzione, però,
ad alcune situazioni specifiche dove si possono riscontrare rischi
significativi in relazione a:
·
lavoro in solitudine;
·
turni di lavoro prolungati;
·
lavoro notturno.
Rischi dovuti a fattori ambientali (o esterni)
Per "fattori ambientali "
si intendono tutte quelle situazioni
pericolose, che potrebbero generarsi da fenomeni naturali e da
altre attività umane:
·
fenomeni meteorologici: temporali, fulmini, vento forte e trombe
d'aria, precipitazioni nevose o piovose intense, nonché alta umidità
relativa, nebbia, brinate e gelate, pioggia continua;
·
fenomeni geologici: terremoti, frane e valanghe, inondazioni e allagamenti,
smottamenti e bradisismi;
·
terreni rocciosi, inconsistenti, incoerenti, paludosi, sabbiosi
o comunque difficoltosi;
·
elettrodotti ad alta e media tensione, sia sospesi che interrati;
·
tubazioni sotterranee o fuori terra, di acqua, gas e sostanze petrolifere;
·
dighe, ponti, autostrade, sedi ferroviarie;
·
discariche ed inceneritori di rifiuti;
·
zone a rischio industriale e civile (aeroporti, depositi petroliferi,
ecc.), zone militari (aeroporti, poligoni);
·
prossimità di zone ad alto inquinamento cittadino, veicolare ed industriale.
Tutte queste variabili contribuiscono
ad aumentare o comunque modificare i
diversi livelli di rischio propri dell'attività agrozootecnica;
perciò, è opportuno tenerle in debita considerazione, al fine
di una corretta individuazione dei rischi e delle conseguenti
soluzioni tecniche, procedurali e organizzative di ogni singola
azienda.
Rischi dovuti a carenze organizzative,
gestionali ed a errore umano
Una delle componenti
statisticamente più rilevanti, nell'analisi delle cause di un
incidente, è l'errore umano.
Ogni lavoratore influenza, con il
suo comportamento i rischi presenti nell'azienda in cui opera.
Tale influenza è dovuta alla sua esperienza,
alle sue capacità professionali, al suo stato di salute, alla
sua condizione psicologica momentanea.
Contribuiscono ad aumentare il livello
di pericolosità di una determinata attività:
·
assenza, limiti o difetti della conoscenza: di alcuni fattori di
pericolo cui si è esposti, di un prodotto, di un materiale, del
funzionamento di una macchina o di un processo produttivo;
·
assenza, limiti o difetti nell'uso: di materiali, macchine o processi
produttivi adeguati; non ci si addestra ad un uso corretto; non
sono presenti corrette procedure d'impiego; si modificano autonomamente
o artigianalmente le funzionalità e le caratteristiche di un materiale
o di una attrezzatura e di un processo;
·
assenza, limiti o difetti di manutenzione: non si effettuano e non
si gestiscono correttamente le operazioni di manutenzione preventiva,
ordinaria e straordinaria;
·
difetti di comportamento: non si rispettano le corrette procedure
e modalità d'uso, addestramento; non ci si concentra, non ci si
impegna e/o non si presta adeguata attenzione al lavoro (fretta,
eccesso di confidenza, ecc.);
·
assenza, limiti e difetti nelle scelte di acquisto: non si scelgono,
o non sono disponibili prodotti, materie prime o macchine, sicuri;
non si presta attenzione ai marchi ed alle certificazioni obbligatorie;
si sceglie solo in funzione dei vincoli economici o formali, e
non della qualità e delle prestazioni.
3.1
- La valutazione dei rischi
Abbiamo già evidenziato come ogni
datore di lavoro deve sempre disporre di
un'aggiornata "valutazione dei rischi" presenti nella
propria azienda.
La valutazione dei rischi richiede,
per ogni attività o posto di lavoro, una ben definita serie di operazioni; il conseguente processo di valutazione deve
portare, per ogni ambiente o posto di lavoro considerato, a determinare
l’assenza di rischio di esposizione, oppure la presenza di esposizione
controllata entro i limiti di accettabilità previsti dalla normativa,
o ancora la presenza di un rischio di esposizione non controllato.
Nel primo caso non sussistono problemi
connessi con lo svolgimento delle lavorazioni, nel secondo caso
la situazione deve essere mantenuta sotto controllo periodico
mentre nel terzo caso si dovranno attuare i necessari interventi
di prevenzione e protezione secondo priorità legate all'importanza
e alla urgenza.
Analizzeremo ora in dettaglio le
operazioni di valutazione dei rischi nelle attività agricole.
Identificazione
delle Sorgenti di Rischio
Tale fase viene
eseguita attraverso una breve, ma accurata descrizione del ciclo
lavorativo nell'ambiente di lavoro preso in esame.
A supporto della descrizione dell'attività
lavorativa svolta, dovranno essere riportate le finalità della
lavorazione o dell'operazione, con la descrizione delle tecnologie,
delle macchine, impianti e apparecchiature utilizzate, delle sostanze
impiegate o prodotte; nella descrizione dei cicli di lavoro, devono
essere considerate le operazioni di pulizia, manutenzione, trattamento
e smaltimento rifiuti ed eventuali lavorazioni concomitanti; dovranno
essere esplicitate le caratteristiche
degli ambienti e dei luoghi di lavoro, il numero degli operatori
addetti alle varie lavorazioni, le informazioni provenienti dalla
sorveglianza sanitaria, se presente e la presenza di movimentazione
manuale dei carichi.
La descrizione del ciclo lavorativo,
o dell'attività operativa, permetterà di avere una visione d'insieme
delle lavorazioni e delle operazioni svolte nell'ambiente di lavoro
preso in esame e, di conseguenza, di poter eseguire un esame analitico
per la ricerca della presenza di eventuali
sorgenti di rischio per la sicurezza e la salute del personale.
In tale fase, riveste particolare
importanza il coinvolgimento dei lavoratori nella ricerca di
tutte le potenziali sorgenti di rischio eventualmente presenti
nell'intero ciclo lavorativo.
Nell'identificazione delle sorgenti
di rischio sarà opportuno tenere conto, inoltre, dei dati che
emergono dalle rassegne statistiche di settore e dalla bibliografia
scientifica inerente la sicurezza e la
salute nei luoghi di lavoro.
Individuazione dei Rischi di Esposizione
L'individuazione dei rischi di esposizione costituisce una operazione, generalmente non
semplice, che deve portare a definire se la presenza di sorgenti
di rischio e/o di pericolo, identificate nella fase precedente,
possa comportare nello svolgimento della specifica attività, un
reale rischio di esposizione per quanto attiene la sicurezza e
la salute del personale addetto.
Al riguardo si dovranno esaminare
le modalità operative seguite nell'espletamento
dell'attività (es. manuale, automatica, strumentale) o dell'operazione
(a ciclo chiuso, in modo segregato o comunque protetto, all'aperto),
l'entità delle lavorazioni in funzione dei tempi impiegati e delle
quantità di materiali utilizzati nell'arco della giornata lavorativa,
l'organizzazione dell'attività (intesa come tempi di permanenza
nell'ambiente di lavoro), la contemporanea presenza di altre lavorazioni
ed infine la presenza di misure di sicurezza o di sistemi di prevenzione
e protezione.
Stima dei rischi di esposizione
La stima dei rischi di esposizione che risultano in seguito alla procedura descritta,
può essere eseguita attraverso: la verifica del rispetto dell'applicazione
delle norme di sicurezza alle macchine durante il loro funzionamento;
la verifica dell'accettabilità delle condizioni di lavoro, in
relazione ad esame oggettivo dell'entità dei rischi e della durata
delle lavorazioni, delle modalità operative svolte e di tutti
i fattori che influenzano le modalità e l'entità dell'esposizione,
in analogia con i dati di esposizione similari riscontrati nello
stesso settore operativo; la verifica delle condizioni di sicurezza
ed igiene, anche mediante acquisizione di documentazioni e certificazioni
esistenti agli atti dell'azienda; una vera e propria misura dei
parametri di rischio (fattori ambientali di rischio), che porti
ad una loro quantificazione oggettiva ed alla conseguente valutazione
attraverso il confronto con indici di riferimento (ad esempio
Indici di riferimento igienico-ambientale
e norme di buona tecnica). Tale misura è indispensabile nei casi
previsti dalle specifiche normative (es.:
rumore, amianto, piombo, radiazioni ionizzanti, cancerogeni, agenti
biologici, etc.).
Al termine, sulla base dei dati ottenuti,
desunti o misurati, si potrà procedere alla definizione del programma
degli interventi migliorativi (tecnici, organizzativi, procedurali),
sulla base delle seguenti indicazioni:
·
eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base
al progresso tecnico e, ove ciò non sia possibile, loro riduzione
al minimo;
·
sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
·
rispetto dei principi ergonomici nella
concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature
e nella definizione dei metodi di lavoro e di produzione, anche
per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo;
·
priorità delle misure di protezione collettiva (parapetti, protezioni
delle parti in movimento, impianti a norma, ecc.), rispetto alle
misure di protezione individuale (maschere, guanti, ecc.);
·
limitazione al minimo del numero di lavoratori che sono, o che possono
essere, esposti al rischio;
·
utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi
di lavoro;
·
controllo sanitario dei lavoratori in funzione del rischio specifico;
·
allontanamento del lavoratore dall'esposizione a rischio, per motivi sanitari
inerenti la sua persona;
·
misure igieniche;
·
misure di protezione collettiva ed individuale;
·
misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta
antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave
ed immediato;
·
uso dei segnali di avvertimento e di sicurezza;
·
regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti,
con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità
alle indicazioni dei fabbricanti;
·
informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori
ovvero dei loro rappresentanti sulle questioni riguardanti la
sicurezza e la salute sul luogo di lavoro;
·
istruzioni adeguate ai lavoratori;
·
adeguarsi al progresso tecnico;
·
garantire un miglioramento continuo del livello di protezione.
3.2
- Il documento della sicurezza
Tutto ciò viene
raccolto in una relazione (Documento della Sicurezza) che, seppur
possa apparire in alcuni casi semplice ed essenziale, deve permettere
al datore di lavoro una corretta gestione nel tempo dei problemi
evidenziati e delle soluzioni individuate, ed agli organi di controllo
di verificare il lavoro di valutazione svolto e, quindi, di avere
un quadro di come l'azienda tutela la salute e la sicurezza dei
propri lavoratori.
II documento di valutazione deve
essere predisposto dal datore di lavoro, con la collaborazione
del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Medico competente,
se previsto, e con il coinvolgimento del Rappresentante per la
sicurezza, e deve comprendere: una relazione sulla valutazione
dei rischi, effettuata nei vari ambienti
o posti di lavoro, comprendente i criteri adottati per la sua
definizione; la descrizione delle misure di Prevenzione e di Protezione
individuate, in coerenza con i risultati della valutazione dei
rischi; il programma di interventi integrati di prevenzione e
protezione (tecnica, organizzativa, sanitaria), che si intendono
eventualmente attuare al fine di completare e/o ottimizzare la
tutela della sicurezza e della salute. Deve essere redatto in
forma scritta, e deve riportare obbligatoriamente l'identificazione
dell'azienda o della unità produttiva,
la descrizione del ciclo lavorativo ed il numero degli addetti
alle lavorazioni svolte, l'identificazione delle sorgenti di rischio
e l'individuazione dei rischi di esposizione, le misure di sicurezza
adottate ed il programma degli interventi migliorativi.
In particolare il programma degli
interventi migliorativi dovrà prevedere: le misure di sicurezza
e protezione da porre in atto; le azioni di formazione e informazione
da realizzare ed un piano per la revisione
periodica del processo di valutazione dei rischi in relazione
alla variazione dei cicli lavorativi o all'azione di controllo.
Il "Documento" deve essere
conservato nella sede dell'Azienda, a disposizione degli Enti
pubblici incaricati ai controlli in materia di salute e sicurezza
sul lavoro, nonché del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e
del Medico competente (ove previsto).
Il datore di lavoro delle imprese
familiari e delle aziende che occupano fino a 10 addetti, in alternativa
del documento di valutazione, può autocertificare
per iscritto l'avvenuta valutazione dei rischi presenti in azienda
e l'adempimento degli obblighi ad essa collegati. L'autocertificazione
va inviata al rappresentante per la sicurezza.
3.3
- Analisi delle attivitá agricole e rischi correlati
Prima di soffermarsi sugli argomenti
e sui pericoli specifici, è opportuno fornire uno sguardo di insieme su alcune dotazioni tecniche che devono essere presenti
in azienda e su alcune procedure che devono essere stabilite in
relazione a tre argomenti
principali:
·
gestione delle emergenze (incendi, evacuazione, pronto soccorso);
·
dispositivi di protezione;
·
segnaletica di sicurezza.
II datore di lavoro deve adottare
le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi, della
evacuazione dei lavoratori, nonché per i casi di pericolo
grave e immediato.
A questo fine in particolare deve:
·
organizzare i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in
materia di pronto soccorso, salvataggio, prevenzione incendi,
lotta antincendio e gestione dell'emergenza;
·
designare preventivamente i lavoratori incaricati (che non possono
rifiutare la designazione) di attuare le misure sugli aspetti
sopra richiamati, compreso il pronto soccorso. Tali designazioni
devono essere effettuate dal datore di
lavoro in relazione alla dimensione dell'azienda ovvero dei rischi
specifici presenti. In ogni caso i lavoratori incaricati devono
essere in numero sufficiente, adeguatamente formati e disporre
di attrezzature adeguate (per le aziende agricole fino
a 10 Dipendenti a tempo indeterminato il datore di lavoro può
svolgere direttamente anche i compiti di prevenzione incendi e
di evacuazione). Si fa presente, comunque,
che nelle aziende agricole sono rare le situazioni che richiedono,
da parte del datore di lavoro, l'organizzazione di Piani e squadre
di emergenza;
·
programmare gli interventi per fronteggiare pericoli gravi ed immediati per la sicurezza
e salute dei lavoratori: a questo fine, informa i lavoratori circa
le misure predisposte ed i comportamenti da adottare e fa accedere
alle zone di lavoro a rischio solo i lavoratori con adeguata formazione;
prende i provvedimenti necessari affinché, in mancanza di superiori
gerarchici, il lavoratore possa assumere le misure adeguate per
evitare le conseguenze del pericolo; da istruzioni affinché i
lavoratori possano abbandonare il luogo di lavoro; si astiene
dal richiedere ai lavoratori di riprendere l'attività nel caso
persista un pericolo grave ed immediato; non fa subire pregiudizio
alcuno al lavoratore che si allontana dal posto di lavoro o da
una zona pericolosa in caso di pericolo.
Le emergenze che si possono verificare
nell'azienda agricola sono la lotta agli
incendi, l'evacuazione in caso di pericolo grave e immediato ed
il pronto soccorso in caso di infortuni.
Nel caso delle aziende più grandi,
ove siano impiegati più lavoratori, è
necessaria l'attuazione di un piano di emergenza che rappresenta
un punto fondamentale della analisi di sicurezza, che va elaborato
non solo per il rischio incendio, ma anche per altre situazioni
che si possono consistere in eventi connessi ai rischi intrinseci
all'attività (esplosioni, crolli, fughe radioattive, di gas, ecc.),
oppure in eventi dovuti a cause esterne (terremoti, alluvioni,
nubi tossiche, ecc.).
Di conseguenza l'obiettivo del piano
di emergenza, di cui l'evacuazione è
la parte fondamentale, sarà quello di ridurre i pericoli per le
persone, far defluire in sicurezza gli occupanti, soccorrere le
persone infortunate e contenere e controllare l'evento.
Per redigere in maniera efficace
un piano di emergenza occorre prendere
in considerazione tre aspetti
fondamentali:
·
il sistema delle vie d'esodo;
·
le informazioni necessarie da fornire all'utenza;
·
l'organizzazione interna/esterna per l'allarme, il regolare deflusso e
l'uso dei sistemi antincendio.
L'incendio è una combustione che si sviluppa
in modo incontrollato nel tempo e nello spazio. La combustione
è una reazione chimica tra un corpo combustibile (legno, carbone,
carta, petrolio, gas combustibile, ecc.) ed un corpo comburente
(ossigeno presente nell'aria).
Le cause che possono provocare un
incendio sono:
·
fiamme libere (operazioni di saldatura, ecc.);
·
particelle incandescenti (brace);
·
scintille di origine elettrica, elettrostatica, provocate da un urto;
·
innalzamento della temperatura dovuto alla compressione dei gas;
·
reazioni chimiche.
Il rischio di incendio
esiste quindi in tutti i locali, ed occorre tener presente, inoltre,
che vi possono essere rischi di esplosione (una combustione a
propagazione molto rapida con violenta liberazione di energia)
che si riscontrano solo in presenza di gas, vapori o polveri combustibili
di alcune sostanze instabili o fortemente reattive o di materie
esplosive.
Ogni lavoratore deve conoscere come
prevenire un incendio. A questo fine, a seconda
della natura e della dimensione dell'azienda, sarà indispensabile
che il datore di lavoro proceda a: predisporre un piano di informazione
e formazione dei lavoratori (per i luoghi di lavoro di modeste
dimensioni il piano può limitarsi ad avvisi scritti comportamentali);
organizzare, almeno una volta l'anno, esercitazioni antincendio
per mettere in pratica le procedure di evacuazione; definire le
procedure da attuare in caso di incendio (azioni che i lavoratori
devono mettere in atto in caso di incendio; procedure per l'evacuazione
che devono essere attuate dai lavoratori; disposizioni per chiedere
l'intervento dei VV.FF.) e fornire le
relative informazioni.
Su quest'ultimo
aspetto si segnala che il datore di lavoro o gli eventuali soggetti
incaricati devono avere conoscenza pratica e diretta su:
·
dove sono gli estintori (o manichette), la cui efficienza deve
essere verificata ogni sei mesi;
·
come si usano gli estintori (o manichette);
·
dove e come interrompere l'afflusso dei combustibili (gasolio,
GPL, metano, ecc.);
·
dove e come disattivare la corrente elettrica;
·
eventuali precauzioni particolari in relazione alle specificità aziendali.
In ogni caso sarà determinante, nell'affrontare un'emergenza, la conoscenza di
poche e semplici regole di autoprotezione:
·
in presenza di fumo assumere una posizione china e proteggersi le vie respiratorie
con un fazzoletto bagnato;
·
in presenza di fumo aprire se possibile, solo le finestre più prossime
all'incendio e non tutte quelle presenti nei locali:
·
non correre e non attardarsi a prelevare cose personali.
Se l'azienda rientra tra quelle soggette
alla sorveglianza dei Vigili del Fuoco (Certificato di Prevenzione
Incendi - CPI - ai sensi del D.M. 16/02/1982) allora
sarà il CPI stesso ad indicare i mezzi per la lotta al fuoco necessari.
In agricoltura, le più frequenti condizioni per le quali scatta
l'obbligo di CPI sono:
·
depositi di GPL in bomboloni
fissi maggiori di 300 litri:
·
depositi di carburanti maggiori di 25 m3.;
·
impianti fissi di distribuzione di carburanti (ad esclusione dei
contenitori mobili con capacità minore di 9000 litri);
·
mulini per cereali ed altre macinazioni con potenzialità giornaliera
superiore a 200 q. e relativi depositi;
·
essiccatoi per cereali e vegetali in genere con annesso deposito di
capacità superiore a 500 q. di prodotto essiccato;
·
depositi di legname da costruzione e da lavorazione, di legna da
ardere, di paglia, di fieno, di canne, di fascine, di sughero
ed altri prodotti affini superiori a 500 q. (esclusi i depositi
all'aperto con distanze da altri fabbricati,o da suolo pubblico
non inferiori a 100 m. - sono considerati all'aperto anche i capannoni
purché abbiano almeno tre lati aperti);
·
gruppi elettrogeni di potenza superiore a 25 kW
·
caldaie con potenzialità superiore a 100.000 Kcal/h
Nelle situazioni sopra elencate è
inoltre obbligatoria l'installazione del parafulmine, regolarmente
denunciato all'ISPESL e dallo stesso controllato ogni due anni.
A prescindere dalle indicazioni fornite,
si sottolinea che la prevenzione incendi,
soggetta al controllo dei Vigili del Fuoco, è una materia molto
complessa per la quale è necessario rivolgersi direttamente agli
Uffici Prevenzione Incendi dei Comandi Provinciali dei Vigili
del Fuoco, oppure richiedere l'assistenza di professionisti esperti
della materia.
Oltre ai mezzi antincendio indicati
nel CPI, oppure dove questo non è previsto, occorre comunque
installare un numero adeguato di estintori (del tipo a polvere
da 6 kg.) ed in alcuni casi gli idranti.
Gli estintori devono essere di tipo
omologato e possono essere di tipo diverso, a
seconda del prodotto estinguente usato, con una etichetta
che ne contraddistingue la classe estinguente (possono essere
usati su impianti elettrici ed altri invece su solidi combustibili,
altri ancora su liquidi infiammabili e così via). Dovranno essere
ubicati in un numero minimo tale da averne a disposizione
uno ogni 200 mq o 30 m. Tutti gli estintori devono essere utilizzati
avvicinandosi il più possibile all'incendio e dirigendo il getto
alla base delle fiamme.
È buona norma collocare gli estintori
presso il deposito carburanti, il locale caldaia,
l'officina, il ricovero macchine, l'essiccatoio ed i mulini; in
tali situazioni è inoltre opportuno prevedere una segnaletica
specifica concernente la posizione degli estintori, la posizione
delle manichette, il divieto di fumare, il divieto di usare fiamme
libere, il divieto di usare acqua come estinguente sui quadri
elettrici, la posizione della cassetta di pronto soccorso ed i
numeri telefonici di emergenza (Polizia 113, Vigili del fuoco
115, Pronto Soccorso 118).
Da ricordare infine che gli estintori
devono essere verificati ogni sei mesi
dalla Ditta fornitrice.
II pronto soccorso deve essere realizzato all'interno
dell'azienda secondo modalità e caratteristiche
(attrezzature, personale, formazione degli addetti) che dipendono dal tipo di azienda e dai rischi presenti.
Il Datore di lavoro, tenuto conto
della natura delle attività e delle dimensioni dell'azienda, sentito
il Medico competente ove necessario, prende
i provvedimenti dovuti in materia di pronto soccorso e di assistenza
medica di emergenza e designa i lavoratori incaricati dell'attuazione
delle misure di pronto soccorso. Questi, dal canto loro, non possono
rifiutare la designazione se non per giustificati motivi: essi
devono essere formati ed essere in numero sufficiente, in funzione
delle dimensioni e dei rischi specifici dell'azienda. La formazione
degli addetti al pronto soccorso deve avvenire durante l'orario
di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
La normativa esistente prevede, nella maggior parte dei casi,
almeno un'attrezzata cassetta di pronto soccorso().
II datore di lavoro, e/o il soggetto
incaricato, deve avere una conoscenza pratica sul modo di affrontare
le emergenze. In pratica egli deve sapere:
·
dov'è la Cassetta di Pronto Soccorso;
·
come usarne i contenuti;
·
che ogni sei mesi ne va verifìcato lo stato di
conservazione;
·
come far fronte agli interventi di primo soccorso (fratture,
emorragie, contusioni, ecc.);
·
dove e come richiedere l'intervento del medico/ambulanza/eliambulanza.
In ultimo si ricorda che non dovrebbe
mai mancare, in un luogo facilmente raggiungibile da tutti, almeno
una potente torcia elettrica, mantenuta sempre efficiente.
I Dispositivi di Protezione Individuale
Dispositivo di
Protezione Individuale (DPI) è definita qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata
o tenuta dal lavoratore per proteggerlo personalmente contro uno
o più rischi (ad esempio, i caschi, i guanti, le scarpe antisfondamento,
ecc.).
La decisione di usare un DPI per
una certa attività deve essere presa dal datore di lavoro, a seguito
della valutazione dei rischi, e deve essere considerata come una
misura limite. Infatti, si deve ricorrere al DPI quando, nonostante
in azienda sia stato realizzato tutto il possibile per
ridurre al minimo i rischi alla fonte (macchine e impianti a norma,
lavorazioni che si svolgono in modo sicuro, lavoratori capaci
di lavorare in sicurezza), il lavoratore continua ad essere esposto
ad un determinato rischio.
Il DPI è l'ultima difesa, quando
tutto il resto è già stato fatto; anche perché, in molte lavorazioni riscontrabili in agricoltura,
i DPI, oltre che una necessità, sono spesso un fastidio ed un
ingombro. È come lavorare con un corpo estraneo che diminuisce
la sensibilità, limita la libertà dei movimenti ed il controllo
degli strumenti.
Nella scelta dei DPI, che va rivista ogni qualvolta intervenga una variazione significativa
negli elementi di valutazione dei rischi, occorre tener presente
che:
·
i DPI devono essere adeguati alle condizioni di lavoro;
·
non devono comportare un rischio maggiore di quello che dovrebbero prevenire;
·
devono tener conto delle esigenze ergonomiche
e fìsiologiche del lavoratore;
·
devono adattarsi alle necessità del singolo utilizzatore;
·
se, in presenza di rischi multipli, si rende necessario usare più DPI simultaneamente,
si deve fare in modo che siano fra loro compatibili.
La scelta dei casi in cui il lavoratore
deve utilizzare i DPI, nella maggioranza delle situazioni, deve
essere fatta dal datore di lavoro (solo in alcuni casi l'obbligo
è sancito da leggi) e deve essere messa per iscritto nella valutazione
dei rischi.
In fase di valutazione dei rischi
e nei casi in cui è obbligato ad elaborare il documento di valutazione,
il datore di lavoro deve:
·
individuare i DPI necessari per i rischi che non possono essere evitati
con altri mezzi;
·
individuare le caratteristiche che gli stessi devono possedere in relazione
ai rischi dai quali occorre difendersi;
·
considerare le eventuali ulteriori fonti di rischio dovute ai DPI stessi;
·
valutare, sulla base
delle informazioni fornite dai fabbricanti e delle norme d’uso
che accompagnano i DPI, le caratteristiche di quelli disponibili
sul mercato, raffrontandole con quelle individuate per le necessità
aziendali;
·
individuare, avvalendosi anche delle norme d’uso fornite dal fabbricante,
le condizioni d’impiego di un DPI, in particolare per la durata
dell’uso, da stabilire in base all’ entità del rischio, alla frequenza
dell’esposizione al rischio, alle caratteristiche del posto di
lavoro di ogni lavoratore, ed alle prestazioni dei DPI;
·
aggiornare la scelta dei DPI ogni qualvolta vi sia una variazione significativa degli elementi di valutazione;
·
fornire ai lavoratori (dopo aver sentito il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione aziendale) i DPI ritenuti necessari
e valutati idonei, perché conformi alla normativa vigente;
·
mantenere in efficienza i DPI ed assicurarne le condizioni di igiene,
con la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie,
nonché con la pulizia, che può essere effettuata all’azienda stessa
o tramite imprese esterne specializzate, della cui scelta è comunque
responsabile il datore di lavoro;
·
fornire istruzioni comprensibili ai lavoratori ed informarli preliminarmente
dei rischi dai quali il DPI li protegge, garantendo anche la disponibilità
di informazioni adeguate su ogni DPI;
·
assicurare la formazione necessaria per il loro impiego. Per i DPI
appartenenti alla terza categoria (vi sono, fra l’altro, inclusi
gli apparecchi di protezione respiratoria filtranti contro gli
aerosol solidi, liquidi o contro i gas irritanti, pericolosi,
tossici o radiotossici), organizzare
uno specifico addestramento ed una formazione adeguata;
·
richiedere ai singoli lavoratori l’osservanza delle leggi vigenti e
delle eventuali disposizioni aziendali emanate per l’impiego dei
DPI.
I lavoratori, a loro volta devono:
·
nei casi previsti, sottoporsi al programma di formazione e di addestramento
organizzato dal datore di lavoro;
·
utilizzare i DPI messi a loro disposizione, conformemente alla informazione
e formazione ricevuta ed all’addestramento cui sono stati sottoposti;
·
avere cura dei DPI messi a loro disposizione e non apportarvi
modifiche di propria iniziativa;
·
dopo l’uso, attenersi ai procedimenti aziendali per la riconsegna
dei DPI;
·
segnalare immediatamente al datore di lavoro (o al dirigente od al
preposto), qualsiasi difetto o inconveniente rilevato nei DPI
messi a loro disposizione.
I DPI devono essere conformi a norme
specifiche, ed infatti la conformità
è attestata dal fabbricante mediante l'apposizione sul DPI del marchio di conformità CE (costituito dalla sigla
CE seguita dalle due ultime cifre dell'anno di apposizione del
marchio), mentre allegata alla confezione si deve trovare una
nota informativa, scritta dal fabbricante (deve essere redatta
in italiano), che deve contenere, se necessario, oltre al nome
e all'indirizzo del fabbricante stesso:
a)
le istruzioni di deposito, di impiego, di pulizia, di manutenzione, di
revisione e di disinfezione. I prodotti di pulizia, di manutenzione
o di disinfezione consigliati dal fabbricante non devono avere
nell'ambito delle loro modalità di uso
alcun effetto nocivo per i DPI o per l'utilizzatore;
b)
le prestazioni ottenute agli esami tecnici effettuati per verificare i
livelli o le classi di protezione dei DPI;
c)
gli accessori utilizzabili con i DPI e le caratteristiche dei pezzi di ricambio
appropriati;
d)
le classi di protezione adeguate a diversi livelli di rischio e i corrispondenti
limiti di utilizzazione;
e)
la data o il termine di scadenza dei DPI o di alcuni dei loro componenti;
f)
il tipo di imballaggio appropriato per il trasporto dei DPI;
g)
altre informazioni meno importanti.
La normativa divide i DPI in tre categorie:
Quelli di prima categoria sono DPI
di semplice progettazione per proteggere da rischi lievi:
·
urti leggeri senza pericolo di lesioni permanenti;
·
prodotti detergenti non molto aggressivi;
·
contatto con oggetti ad una temperatura non superiore ai 50 °C;
·
ordinari fenomeni atmosferici.
La terza categoria comprende i DPI più sofisticati che sono destinati a proteggere da rischi di morte
o di lesioni gravi permanenti:
·
polveri, fumi o gas irritanti, nocivi, tossici e molto tossici;
·
cadute dall'alto;
·
tensioni elettriche pericolose o alte tensioni elettriche;
·
i caschi e le visiere per motociclisti.
Per l'uso dei DPI di tale categoria,
esiste l'obbligo per il datore di lavoro di addestrare in modo
specifico i lavoratori.
Nella seconda categoria sono compresi
i DPI che non rientrano nella prima e nella terza categoria.
I DPI da utilizzare nelle principali attività
agro-zootecniche sono:
Per tutti i lavoratori:
·
tute da lavoro (in cotone resistente, senza parti libere svolazzanti,
con maniche, polsi e cavigliere aderenti);
·
guanti di sicurezza in cuoio contro perforazioni, tagli, ustioni,
ecc.;
·
calzature di sicurezza (puntale rinforzato, suola antiperforazione
e antiscivolo);
·
calzature impermeabili;
·
indumenti contro il maltempo (giubbotti termici, impermeabili, cappelli
parasole).
Attività sui terreni ove c'è il rischio
di proiezione di oggetti (macchine con parti in rotazione
veloce):
·
occhiali o visiere contro la proiezione di schegge o oggetti.
Macchine o attività dove la relazione
sul rumore ha individuato il superamento
di una certa soglia:
·
cuffie o inserti auricolari (tappi).
Uso di sostanze chimiche corrosive
o irritanti
(detergenti e disinfettanti, ecc.):
·
occhiali contro gli schizzi;
·
guanti in polivinile.
Officina meccanica
o attività simili:
·
occhiali o visiere contro la proiezione di schegge o oggetti (molatura,
ecc.);
·
guanti di sicurezza in cuoio contro perforazioni, tagli, ustioni,
ecc.;
·
maschere o occhiali per la saldatura ad arco;
·
grembiuli in cuoio rinforzato o similari.
Manutenzione del verde
e forestazione:
·
calzari alti rinforzati (tronchetti) o stivali di sicurezza;
·
guanti contro le aggressioni meccaniche e termiche (perforazioni,
tagli, vibrazioni, ecc.), in pelle o cuoio;
·
elmetti di protezione;
·
calzature e tute in tessuto antitaglio.
Uso dei prodotti fitosanitari:
·
tuta;
·
guanti;
·
occhiali;
·
maschere con filtro;
·
casco integrale.
Allevamenti:
·
guanti lunghi in lattice "usa e getta";
·
calzature impermeabili e antiscivolo di elevata qualità;
·
sovratute integrali "usa e getta";
·
sovrascarpe integrali "usa e getta";
·
grembiuli in cuoio rinforzato o similari;
·
guanti speciali per tacchini, ecc.;
·
mascherine speciali, ed in alcuni casi autorespiratori, contro le soffocazioni
in ambienti saturi di gas asfissianti (CO2, ammoniaca, ecc.).
Lavori su impalcature,
su tetti, ecc.:
·
elmetti di protezione;
·
calzature di sicurezza (puntale rinforzato, suola antiperforazione
e antiscivolo);
·
imbracature di sicurezza.
Lavori in pozzi, vasche,
sili. cisterne, ecc.:
·
elmetti di protezione;
·
maschere a filtri contro le soffocazioni in ambienti saturi di gas
asfissianti (CO2, ammoniaca, ecc.);
·
autorespiratori per il salvataggio d'emergenza di un infortunato;
·
imbracature di sicurezza.
Attività presso vasche, bacini e
corsi d'acqua:
·
giubbotti di galleggiamento.
Lavori di magazzino
con nastri trasportatori, paranchi, ecc.:
·
elmetti di protezione;
·
calzature di sicurezza (puntale rinforzato, suola antiperforazione
e antiscivolo);
·
guanti di sicurezza in cuoio contro perforazioni, tagli, ustioni,
ecc.
Lavori in ambienti
polverosi (mulini, mangimifici, ecc.):
·
mascherine antipolvere "usa e getta";
·
guanti "usa e getta";
·
sovratute integrali "usa e getta";
·
sovrascarpe integrali "usa e getta".
Per segnaletica di sicurezza, si intende una segnaletica che fornisce un'indicazione concernente
la sicurezza e che utilizza, a seconda dei casi, un cartello,
un colore, un segnale luminoso o acustico, una comunicazione verbale
o un segnale gestuale.
La segnaletica di sicurezza si basa
sul principio che il messaggio di sicurezza viene
trasmesso generalmente attraverso una particolare combinazione
di forma geometrica, colore e simbolo; il suo scopo è di attirare
rapidamente l'attenzione su oggetti e situazioni che possono rappresentare
un pericolo, e non deve sostituire le misure di protezione e prevenzione;
deve essere impiegata esclusivamente per le indicazioni che hanno
rapporto con la sicurezza (le indicazioni relative al traffico
interno all'azienda, ad esempio, devono essere date impiegando
la segnaletica corrente per il traffico stradale), e la sua efficacia
dipende dall'estesa e ripetuta informazione di tutte le persone
cui la segnaletica può risultare utile.
I colori, come già sottolineato, rivestono una notevole importanza nel riconoscere
il messaggio del segnale:
ROSSO: segnala divieto e arresto come nel
caso di:
·
divieto di passaggio;
·
divieto di fumare;
·
segnaletica relativa alle attrezzature antincendio.
VERDE: segnala situazioni in cui ci si
può ritenere al sicuro, come nel caso di:
·
segnalazione delle uscite e dei passaggi di sicurezza;
·
l'indicazione della strada che porta al pronto soccorso;
·
l'indicazione di un dispositivo di salvataggio.
GIALLO: segnala situazioni in cui occorre
fare attenzione per presenza di pericoli, come nel caso di:
·
incendio;
·
esplosione;
·
radioattività;
·
dispersione di sostanze chimiche;
·
pericolo generico o specifico.
AZZURRO: segnala
prescrizioni particolari, come nel caso di:
·
dispositivi da indossare;
·
informazioni che siamo tenuti a conoscere.
Oltre ai colori, vanno rispettati
altri criteri di conformità:
·
la visibilità;
·
i simboli;
·
la leggibilità;
·
il posizionamento;
·
l'adeguatezza.
I cartelli più frequentemente in
uso, che, se utilizzati e decifrati correttamente, possono costituire
una mappa di primo orientamento nei rischi aziendali, sono:
·
cartelli antincendio;
·
cartelli che indicano le vie di fuga e di evacuazione;
·
cartelli di movimentazione carichi;
·
cartelli di sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, velenose,
ecc;
·
cartelli di divieto di fumare;
·
cartelli che delimitano le zone riservate agli addetti ai lavori:
nei locali termici, negli uffici, nei depositi, ecc.;
·
cartelli di circolazione, di segnalazione della presenza di animali;
·
cartelli di obbligo di indossare i DPI, usare i guanti, usare gli
occhiali, usare gli aspiratori, le tute di protezione del corpo,
le mascherine, le scarpe antiscivolo o antinfortunistiche, ecc.
3.4
- I rischi collegati alla sorveglianza sanitaria
Sotto la denominazione di Rischi
collegati alla sorveglianza sanitaria, sono raggruppati alcuni
fattori di rischio che hanno in comune la caratteristica di
essere di tipo trasversale (cioè associabili a più attività o attrezzature), e che, in
larga misura, procurano prevalentemente malattie professionali,
per la prevenzione delle quali sussiste, in alcuni casi, l'obbligo
della sorveglianza sanitaria.
Questi fattori di rischio, che possono
portare all’insorgenza di patologie legate all’attività lavorativa,
sono:
1. rumore;
2. movimentazione
manuale dei carichi;
3. vibrazioni;
4. amianto;
5. agenti cancerogeni;
6. sostanze e preparati
pericolosi;
7. prodotti fitosanitari;
8. agenti biologici;
9. agenti allergizzanti.
La sorveglianza sanitaria è l'insieme
delle azioni che in azienda vengono
poste in essere, quando si verificano le condizioni di legge,
affinché uno o più lavoratori siano sottoposti a visite mediche.
Esse si distinguono in preventive (all'assunzione), per essere
sicuri che non vi sono controindicazioni al lavoro cui un lavoratore
è destinato e periodiche, effettuate
per controllare lo stato di salute del lavoratore, ed essere
sicuri che non sono intervenute controindicazioni al lavoro
cui un lavoratore è destinato.
Le visite mediche devono essere fatte
da un Medico Competente e possono comprendere anche esami particolari.
L'obbligo della Sorveglianza Sanitaria
discende da specifiche norme, che in relazione
all'uso di alcune sostanze, ad alcune lavorazioni o al
superamento di determinati livelli di esposizione, fanno scattare
l'obbligo di sottoporre a visite mediche i lavoratori e, quindi,
l'obbligo di nomina del medico competente.
Le visite obbligatorie possono essere prescritte con cadenze
differenti per i lavoratori addetti a particolari mansioni o
esposti a fattori di rischio determinati; in alcuni casi la
periodicità viene stabilita dalla legislazione, oppure viene lasciata al
giudizio del Medico Competente.
In agricoltura, per fare qualche
esempio, si hanno cadenze di
tre mesi per i lavoratori addetti o esposti:
·
all'uso professionale di antiparassitari contenenti composti
organici del fosforo;
·
all'uso professionale di antiparassitari contenenti composti
organici del mercurio;
·
alla derattizzazione e disinfestazione con composti a base di
acido cianidrico;
·
alla distruzione di parassiti nocivi all'agricoltura con composti
a base di acido cianidrico;
·
alla distruzione di parassiti nocivi all'agricoltura con composti
a base di cloropicrina (nitrocloroformio);
di sei mesi per i lavoratori addetti o esposti:
·
all'uso professionale di antiparassitari contenenti leghe e composti
di antimonio;
·
alla distruzione di parassiti nocivi all'agricoltura mediante
composti a base di derivati nitrati dei fenoli
e cresoli;
di dodici mesi per i lavoratori addetti o esposti:
·
alle infermerie per animali (carbonchio e morva);
·
a lavori nelle fogne e nei canali (leptospirosi);
·
a lavori di bonifica in terreni paludosi (leptospirosi);
·
alle infermerie per animali, all'apprestamento di cure agli animali
o al contatto con essi, con i loro rifiuti o con ogni altra
materia infetta o contaminata.
I casi in cui la decisione circa
la periodicità viene lasciata al Medico
competente riguardano ad esempio i lavoratori dediti:
·
all'uso di preparati o sostanze cancerogene, riportanti in etichetta
la frase di rischio I R45, oppure R49;
·
a rumore;
·
a movimentazione manuale di carichi pesanti;
·
ad agenti biologici.
In relazione alle
suddette situazioni, il datore di lavoro istituisce la Sorveglianza
Sanitaria e nomina il Medico Competente, che diventa quindi
responsabile degli aspetti sanitari della valutazione dei rischi
e dell'adozione delle misure volte ad eliminare o ridurre il
rischio, ed in particolare:
·
in vista della stesura da parte del datore di lavoro del Documento della
Sicurezza, esprime pareri circa la rilevanza dei rischi identificati
e le misure da adottare;
·
una volta elaborato il Documento della Sicurezza, esercita la sorveglianza
sanitaria sui lavoratori professionalmente esposti a sostanze
o lavorazioni a rischio, il che comporta accertamenti preventivi,
per assicurare che non ci siano controindicazioni a che un certo
lavoratore sia impiegato in un certo lavoro, e accertamenti
periodici sullo stato di salute dei lavoratori e sulla loro
idoneità alla mansione;
·
gestisce tutti gli aspetti della sorveglianza sanitaria.
E’ opportuno inoltre, tenere presente che esistono specifiche disposizioni di legge
per l'ammissione al lavoro di categorie specifiche, come gli adolescenti, che devono essere riconosciuti
idonei all'attività lavorativa specifica cui saranno adibiti,
a seguito di esame medico. L'esito della visita medica deve
essere comprovato da apposito certificato da allegare al libretto di lavoro, e la
loro idoneità al lavoro cui sono addetti deve essere accertata
mediante visite mediche periodiche effettuate ad intervalli
non superiori ad un anno.
I minori, ed i giovani dai 18 ai
21 anni, nonostante eventuali precedenti visite mediche, devono
essere sottoposti ad altra visita prima di
ogni campagna stagionale relativa alle seguenti attività:
·
lavori in risaia;
·
diserbo dei canali;
·
lavori inerenti alla maturazione artificiale della frutta e degli
ortaggi;
·
lavori comportanti la preparazione, la manipolazione di pesticidi.
Inoltre, tutti i lavoratori devono
essere sottoposti a vaccinazione antitetanica, rinnovata periodicamente.
Vediamo ora in dettaglio i fatori di rischio sopra menzionati.
II rumore
E’ definibile come un insieme di
suoni indesiderabili, ma è impossibile stabilire in via teorica
se una vibrazione meccanica percettibile con l'udito sarà per
l'ascoltatore un suono o un rumore, in quanto
tale giudizio sarà soggettivo e, pertanto, variabile nei singoli
casi. L'intensità dei suoni si misura in decibel (dB),
ed il rumore è dannoso per l'udito perché può provocare la perdita
di sensibilità uditiva dell'orecchio (ipoacusia) e, a lungo
andare, la sordità.
La meccanizzazione
della produzione, con l'introduzione di processi tecnologici
continui, ha portato al moltiplicarsi delle fonti di rumore
e ad un aumento della percentuale di lavoratori esposti a questo
fattore di rischio. Le fonti di rumore più comuni nel settore
agricolo, sono dovute ad attrezzature
ed impianti presenti sia nelle lavorazioni che si svolgono all'interno
di fabbricati (cantine, frantoi, ecc.), sia in pieno campo (trattrici
agricole, ecc.). In diversi casi, tali sorgenti di rumore producono
una esposizione elevata per gli addetti (al posto di guida
di un trattore è possibile misurare, in alcune situazioni, un
rumore di intensità fino a 80-100 dB). La legislazione vigente
prevede che ogni datore di lavoro valuti il rumore presente
nella sua azienda, redigendo uno specifico documento di valutazione,
e, in relazione ai risultati della
valutazione, adotti le azioni conseguenti per eliminarlo o limitarlo.
Nei casi in cui si sospetti un'esposizione
del lavoratore ad un livello di rumore superiore a 80 dB, è opportuno che il procedimento valutativo comprenda anche
misurazioni fonometriche. In questi
casi, le misure del rumore in azienda devono essere eseguite
da personale esperto, con metodi ben precisi, e vanno ripetute
quando le condizioni di lavoro si modificano in modo sostanziale;
a seguito delle misure, deve risultare,
per ogni addetto, un valore del "livello di esposizione
settimanale" (LEP,w) e un valore del "livello di esposizione
quotidiana" (LEP,d), misurati in dB, al fine di predisporre
gli interventi opportuni.
Alcune precauzioni generali sul problema
rumore consistono nel ridurre il rumore alla fonte, cioè
progettare ed acquistare macchine con la più bassa emissione
di rumore; nel porre in essere accorgimenti tecnici sulle macchine
per ridurre il rumore; nell’effettuare una manutenzione puntuale
delle macchine; nel limitare la durata dell'esposizione giornaliera
o settimanale dei lavoratori.
In ogni caso, per determinate lavorazioni
agricole, per le quali sussiste un'elevata esposizione dei lavoratori
al rumore, è necessario mettere a disposizione degli stessi
adeguati dispositivi di protezione (particolare attenzione va
posta ai lavoratori che utilizzano frequentemente le macchine
agricole). In questi casi, se non è possibile ridurre il rumore
alla fonte, ad esempio con trattori cabinati, si dovranno fornire
ai lavoratori i dispositivi di protezione individuali (DPI),
quali cuffie o tappi auricolari. E’ comunque
necessario, oltre che obbligatorio, informare e formare i lavoratori
sul rischio rumore.
In base ai risultati provenienti
dalla valutazione, effettuata anche tramite misurazioni, se
in azienda vi sono posti di lavoro dove il lavoratore è esposto
a più di 80 dB, il datore di lavoro
deve mettere in atto una serie di interventi che sono graduati
a seconda del livello di rumore.
Precauzioni specifiche in relazione all'esposizione:
per esposizione tra 80 e 85 dB deve informare il lavoratore e il
suo rappresentante su:
·
rischi per l'udito;
·
misure adottate per legge;
·
misure da osservare in azienda;
·
diritto ad avere cuffie o tappi;
·
diritto di sottoporsi alle visite audiometriche;
·
risultati e significato della valutazione del rumore.
per esposizione tra 85 e 90 dB, oltre a nominare il Medico Competente
e dargli copia delle misurazioni, deve sottoporre il lavoratore
a visite audiometriche al momento
dell'assunzione, dopo un anno dalla prima visita ed ogni due
anni successivi; deve anche informare il lavoratore
su:
·
rischi per l'udito;
·
misure adottate per legge;
·
misure da osservare in azienda;
·
funzione e uso di cuffie/tappi;
·
scopi delle visite audiometriche;
·
risultati e significato della valutazione del rumore;
·
deve fornire cuffie o tappi al lavoratore, tenendo conto delle
sue indicazioni (il lavoratore non è obbligato ad usarli), e
deve formare il lavoratore sul loro uso corretto.
per esposizione più di 90 dB:
·
nominare il Medico Competente e dargli copia delle misurazioni;
·
sottoporre il lavoratore a visita audiometrica
(all'assunzione e ogni anno);
·
delimitare e segnalare (cartellonistica)
le postazioni fisse, nonché le attrezzature portate e mobili
devono essere provviste di idonee segnalazioni (es. adesivo
che richiama l'obbligo di utilizzo delle cuffie);
·
fornire cuffie o tappi al lavoratore, possibilmente facendo scegliere
il modello (il lavoratore è obbligato ad usarli);
·
formare il lavoratore sull'uso di cuffie e tappi;
·
controllare che il lavoratore usi cuffie e tappi;
·
riprendere per iscritto il lavoratore che non usa cuffie e tappi;
·
consegnare un Rapporto all’ASL;
·
compilare un Registro degli esposti (e consegna all’ASL e all'ISPESL);
·
comunicazione all'ASL e all'ISPESL della cessazione del rapporto di lavoro
con il lavoratore iscritto nel Registro degli esposti.
Inoltre, è opportuno sapere che anche
altri soggetti devono rispettare determinate regole:
i fabbricanti e i venditori di attrezzature
rumorose:
·
devono immettere sul mercato macchine con l'indicazione, nel libretto
istruzioni, della rumorosità (le attrezzature che producono
rumore superiore a 85 dB devono avere, nel libretto istruzioni,
informazioni scritte sul rumore prodotto e sui rischi che comporta).
i lavoratori devono:
·
usare sempre, quando il datore di lavoro lo impone, cuffie e tappi;
·
usare cuffie e tappi così come gli è stato insegnato;
·
conservare cuffie e tappi nel loro armadietto;
·
non danneggiare le cuffie ed i tappi;
·
indicare al datore di lavoro eventuali guasti alle cuffie ed ai tappi;
·
indicare al datore di lavoro eventuali guasti ai silenziatori o alle
protezioni, che servono anche a diminuire il rumore;
·
sottoporsi alle visite, quando il datore di lavoro e/o il Medico competente
lo impone (a seguito della valutazione del rumore).
Nei casi in cui non sussistono particolari
problemi di rumorosità, e, quindi, si può ragionevolmente ritenere
che non siano superati gli 80 dB, è
opportuno attestare questa condizione quantomeno con una autocerticazione.
La potenziale pericolosità dei materiali
di amianto, dipende dall'eventualità
che siano disperse nell'aria fibre (invisibili a occhio nudo)
che possono venire respirate dai lavoratori che operano nei
pressi di questi manufatti. Ricordiamo che l'azione dannosa
dell'amianto è di tipo fisico, e non di tipo chimico, cioè la malattia è causata dallo sfregamento delle fibre sui
tessuti interni dove queste si depositano e non da reazioni
chimiche. L'esposizione prolungata (per anni) può provocare
tumori al polmone (asbestosi - bastano più di 2 fibre per metro
cubo di aria). L'amianto in agricoltura
lo si riscontra quasi esclusivamente
negli edifici, ed in particolare nei pannelli in cemento-amianto
(tettoie in eternit, ecc.), nei rivestimenti
isolanti di tubi o caldaie (tele, feltri o imbottiture in genere)
e nei rivestimenti isolanti applicati a spruzzo o a cazzuola,
soprattutto su strutture portanti in acciaio.
La presenza di materiali contenenti
amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per
la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni
e non viene manomesso, è poco probabile che esista un pericolo di
rilascio di fibre di amianto. Se invece
il materiale è degradato, si può verifìcare
un pericoloso rilascio di fibre.
In caso di presenza di materiali
contenenti amianto, è indispensabile adottare alcune precauzioni di carattere
generale:
·
mantenere in buone condizioni i materiali che lo contengono;
·
verifìcare periodicamente le condizioni dei
materiali contenenti amianto;
·
in caso di danneggiamenti accidentali di materiali contenenti amianto,
intervenire immediatamente, allontanando i lavoratori e procedendo
a bonificare la situazione, facendo ricorso a ditte specializzate.
La valutazione della situazione dei
fabbricati presenti in azienda, può essere fatta seguendo dei
semplici criteri, senza quindi ricorrere a
impegnative misurazioni della concentrazione delle fibre di
amianto disperse nell'aria, analizzando le seguenti caratteristiche:
·
stato di conservazione (è friabile, per cui può essere facilmente
ridotto in polvere con la semplice pressione manuale, oppure
si presenta compatto, ancora duro da poter essere ridotto in
polvere solo con l'impiego di attrezzi meccanici, dischi abrasivi,
frese, trapani);
·
presenza di sfaldamenti, crepe, rotture superficiali;
·
presenza di parti distaccate;
·
presenza di detriti o parti abbandonate;
·
anzianità dell'installazione;
·
grado di esposizione del materiale agli agenti atmosferici;
·
grado di esposizione del materiale ad atmosfere acide; .
·
presenza di infiltrazioni di acqua;
·
tempo che i lavoratori trascorrono nel locale, il fatto che il
materiale sia più o meno "a vista", il ricambio d'aria
del locale.
Quando si presentano
situazioni di incerta classificazione,
è però necessario rivolgersi a ditte specializzate, anche per
effettuare una indagine ambientale, che misuri la concentrazione
di fibre aerodisperse.
In base agli
elementi raccolti dalla valutazione, possono delinearsi
tre diverse situazioni:
Materiali integri
non suscettibili di danneggiamento, per i quali non esiste pericolo
di rilascio di fibre di amianto; in
questi casi non è necessario un intervento di bonifica.
Materiali integri
suscettibili di danneggiamento, per i quali esiste pericolo
di rilascio potenziale di fibre di amianto;
se non è possibile ridurre significativamente i rischi di danneggiamento
bisogna prevedere interventi di bonifica da attuare a medio
termine.
Materiali danneggiati per i quali
esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto
con possibile esposizione dei lavoratori; quest'ultima
è una situazione in cui si determina la necessità di un'azione
specifica da attuare in tempi brevi, per eliminare il rilascio
di fibre di amianto nell'ambiente. Le possibili soluzioni possono
essere:
·
restauro: l'amianto viene lasciato in sede senza effettuare alcun
intervento di bonifica vera e propria, ma limitandosi a riparare
le zone danneggiate e ad eliminare le cause potenziali del danneggiamento
(modifica del sistema di ventilazione in presenza di correnti
d'aria che erodono il rivestimento, riparazione delle perdite
di acqua, eliminazione delle fonti di vibrazioni, interventi
atti ad evitare il danneggiamento da parte degli occupanti).
È applicabile per materiali in buone condizioni che presentino
zone di danneggiamento di piccola estensione (inferiori al 10%
della superficie di amianto presente nell'area interessata).
È il provvedimento migliore per rivestimenti di tubi e caldaie
o per materiali poco friabili di tipo cementizio, che presentino danni
circoscritti;
·
bonifica mediante rimozione, incapsulamento o confinamento
dell'amianto. La bonifica può riguardare l'intera installazione
o essere circoscritta alle aree dell'edificio o alle zone dell'installazione
in cui si determina un rilascio di fibre.
Per movimentazione manuale dei carichi
si intendono le operazioni di trasporto
o di sostegno di un carico, ad opera di uno o più lavoratori,
comprese le azioni del sollevare, deporre, tirare, portare o
spostare un carico.
Lo sforzo muscolare richiesto dalla
movimentazione manuale dei carichi, se non correttamente esercitato,
può determinare aumento del ritmo cardiaco e di quello respiratorio
ed incidere negativamente nel tempo sulle articolazioni, in
particolare sulla colonna vertebrale, determinando cervicalgie,
lombalgie e discopatie.
In particolare può provocare patologie permanenti, cioè
malattie professionali, alla colonna vertebrale ed ai suoi muscoli
(artrosi, ernia al disco), ed infortuni a schiena ("colpo
della strega"), gambe, braccia, piedi e mani, a seguito
di cadute, urti, schiacciamenti e sovrasforzi.
L'esame delle problematiche connesse
alla movimentazione manuale dei carichi nel settore agricolo
non è sempre facile, poiché la legislazione non definisce criteri
puntuali per l'individuazione delle lavorazioni e dei lavoratori
a rischio; inoltre, sembra fare riferimento esclusivamente a
situazioni dove sono presenti lavoratori esposti alla movimentazione
manuale in modo continuo, come quelli, per esempio, di un magazzino
in una industria.
In agricoltura, la movimentazione
manuale dei carichi, benché si riscontri quotidianamente, avviene
in circostanze casuali, nelle situazioni più diverse, imprevedibili
e strane. Alzare, tirare e spingere attrezzature e oggetti pesanti
è una delle operazioni che il lavoratore agricolo deve compiere
comunemente durante la sua attività, anche con grandi sforzi
muscolari; ma ciò si ripete poche volte nel corso della stessa
giornata lavorativa. A prescindere dalle difficoltà descritte
nel valutare i rischi, è importante sapere che gli infortuni
e le patologie dovute a queste attività sono tanti, più di quanto
comunemente si possa immaginare.
Il rischio
dovuto alla movimentazione manuale dei carichi pesanti si riscontra
in azienda quando:
il peso da muovere è
superiore ai limiti previsti dalla legge (ad esempio: kg. 30
per i maschi adulti; kg 20 per le femmine adulte; ecc.), è ingombrante
o difficile da afferrare, non è bene in equilibrio o è in una
posizione per cui deve essere maneggiato
a una certa distanza dal corpo o con una torsione o inclinazione
del busto, oppure può comportare danni per il lavoratore, in
particolare in caso di urto;
lo sforzo fisico: è eccessivo, può essere effettuato
soltanto con un movimento di rotazione del busto, può comportare
un movimento brusco del carico o è compiuto con il corpo poco
in equilibrio;
il posto di lavoro: è troppo ristretto, presenta rischi
di inciampo o di scivolamento, ecc.;
si svolge una attività che può comportare:
sforzi
fisici che sollecitano
in particolare la colonna vertebrale, un periodo di riposo
troppo breve, distanze di sollevamento, di abbassamento o di
trasporto troppo grandi ed un ritmo di lavoro troppo intenso;
il lavoratore: non risulta idoneo a svolgere il compito in questione,
porta indumenti non adeguati e non è informato e formato sul
tema.
A seconda di quante e quali delle precedenti
condizioni si riscontrano nella propria azienda, si tratterà
di approfondire la valutazione e di prevedere interventi migliorativi
più o meno complessi.
In via generale, occorre evitare
la movimentazione manuale dei carichi adottando a livello aziendale
misure organizzative e mezzi appropriati, quali le attrezzature
meccaniche. Dove non è possibile farne a meno il datore di lavoro
dovrà adottare una serie di interventi organizzativi (es. suddivisione
del carico, riduzione della frequenza di sollevamento e movimentazione,
miglioramento delle caratteristiche ergonomiche
del posto di lavoro), adoperarsi per una corretta informazione
e formazione dei lavoratori e sottoporre gli stessi alla necessaria
sorveglianza sanitaria.
le vibrazioni
Le vibrazioni
possono interessare il corpo intero ed essere trasmesse da sedili,
pedane, piattaforme di trattori e di altre
macchine. Possono provocare ernie discali,
lombaggini, alterazioni ai muscoli e ai tendini, fatica, insonnia
ed emicrania. Quando interessano il sistema mano-braccio in
genere sono trasmesse da attrezzi manuali
(motoseghe, motocoltivatori, motofalciatrici,
decespugliatori), e possono dare luogo
ad infiammazioni, lesioni permanenti alle dita, malformazioni
alle ossa del polso e del gomito. La gravità dei danni dipende
sia dall'intensità della vibrazione, sia dal tempo di
esposizione del lavoratore.
Per ovviare a questi possibili inconvenienti
si possono mettere in pratica alcuni accorgimenti, tra cui:
·
acquistare trattori, macchine e attrezzi manuali, progettati con moderni
criteri (sospensioni, molle, cuscinetti elastici, impugnature
con materiali smorzanti); peraltro le macchine devono essere
vendute con l'indicazione, nel libretto di istruzioni, del livello
di vibrazioni prodotte;
·
valutare se sono possibili
per trattori, macchine e attrezzi manuali già in uso, le modifiche
a sedili, pedane, piattaforme, manici, maniglie e impugnature;
in caso contrario è necessario individuare con precisione le
attrezzature più pericolose e decidere, insieme al Medico e
al Responsabile della sicurezza, i tempi massimi di esposizione
dei lavoratori;
·
informare i lavoratori sui rischi specifici e sui provvedimenti presi,
sorvegliando che siano sempre messi in atto;
·
sottoporre a visita medica specifica i lavoratori che usano spesso
trattori, macchine e attrezzi manuali con forti vibrazioni.
gli agenti cancerogeni
Così come intesi
dalla vigente normativa, gli agenti cancerogeni che si ritrovano
in agricoltura sono per lo più sostanze
alle quali è attribuita la frase di rischio R 45: "Può
provocare il cancro" o la R 49: "Può provocare il
cancro per inalazione".
Se si lavora con una o più di queste sostanze o preparati,
è obbligatorio procedere con una valutazione dei rischi molto
specifica che in questa sede si tralascia.
In agricoltura
si possono riscontrare alcune sostanze cancerogene, come prodotti
fitosanitari, sia per il principio attivo che per le sostanze
usate come coformulanti, (es. captafol, sulfallate, esaclorobenzene, l,2-dibromo-3-cloropano,
1,2-dibromoetano, 1,2-dicloroetano, nitrofen,
alcuni olii minerali), alcuni coloranti, solventi ed olii minerali.
Inoltre, si
ritiene opportuno segnalare la possibilità di
esposizione a cancerogeni anche in altre situazioni che
possono essere a rischio, come il lavoro in seminterrati, cantine,
pozzi o cisterne, soprattutto se profondi, posti in zone di
rischio a causa del Radon, emesso naturalmente dal suolo, che
diventa causa di tumore al polmone, o come agenti fisici ad
alta energia da cui non ci si protegga bene ed a cui si è esposti
per molto tempo (radiazioni UVB, radiazioni X, ecc.)
gli agenti biologici
La legislazione europea e quella italiana, quando parlano di agenti biologici, si riferiscono
principalmente a quelle attività nelle quali vi è deliberata
intenzione d'uso di microrganismi che potrebbero provocare infezioni,
allergie o intossicazioni (laboratori di biologia, industriali
o di ricerca).
Su questo aspetto
si può affermare che in agricoltura, nei rari casi in cui si
può avere un utilizzo deliberato di agenti biologici (ad esempio
prodotti fitosanitari microbici, batteri, azotofizzatori,
ecc.), non si hanno particolari problemi patologici per i lavoratori.
Tali situazioni si possono considerare irrilevanti ai fini dell'applicazione
degli obblighi previsti dalle norme di
cui trattasi.
Le stesse legislazioni, d'altra parte,
impongono determinati interventi e precauzioni anche nelle attività
che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare
con agenti biologici, possono implicare il rischio di
esposizione dei lavoratori agli stessi agenti. Tra queste
sono elencate anche le attività nell'agricoltura, ed in particolare
le attività nelle quali vi è contatto con gli animali o con
prodotti di origine animale.
L'azienda agricola, dunque, è un
luogo dove gli agenti biologici (alcuni batteri, virus o funghi
pericolosi), pur non essendo l'oggetto diretto della produzione,
possono essere presenti nelle acque, negli animali (prodotti,
deiezioni, ecc.), nei vegetali e nel terreno.
I lavoratori delle aziende agricole
possono essere perciò esposti a rischio biologico nell’esecuzione
delle operazioni colturali e negli allevamenti; la prima situazione
non richiede particolari precauzioni organizzative e tecniche,
anche se i lavoratori si devono comunque
sottoporre a profilassi antitetanica, mentre nella seconda situazione
l'esposizione dei lavoratori è da collegarsi per lo più a non
adeguate misure veterinarie, igienico-sanitarie
e di protezione collettiva ed individuale.
In relazione a quanto detto, una delle prime considerazioni
da fare è che la conoscenza da parte degli operatori agricoli
di tali problematiche deve essere approfondita e specializzata.
Gli opportuni interventi devono essere individuati già in fase
di valutazione dei rischi, e possono andare da semplici e banali
accorgimenti pratici, fino ad azioni di prevenzione e protezione
più complesse, a seconda del livello
della situazione igienica e profilattica aziendale.
I rischi microbiologici si possono minimizzare con il rispetto delle
norme di igiene personale, veterinarie
e ambientali, con l'abitudine professionale a non bere, mangiare,
fumare, toccarsi parti scoperte del corpo (bocca, occhi, volto)
con mani sporche, lavandosi e disinfettandosi quando necessario
alla fine del lavoro.
Per ridurre l'esposizione, il datore di lavoro deve prevedere
alcune misure tecniche, organizzative e procedurali, come ad
esempio:
·
accesso limitato alle sole persone autorizzate e per i tempi minimi
necessari;
·
superfici idrorepellenti e
di facile pulitura (arredo, muri, pavimento e soffitto);
·
superfici resistenti agli acidi, agli alcali, ai solventi, ai disinfettanti;
·
programmazione di specifiche procedure di disinfezione e disinfestazione
periodica degli allevamenti e delle zone vicine;
·
controllo efficace dei vettori (ad esempio roditori ed insetti);
·
adozione di misure di protezione individuali;
·
elaborazione di idonee procedure per trattare campioni di origine animale;
·
definizione di procedure di emergenza
per affrontare gli eventuali incidenti;
·
predisposizione dei mezzi necessari per la raccolta, l'immagazzinamento,
e lo smaltimento dei rifiuti in condizioni di sicurezza;
·
gli animali infetti (vivi o morti), devono essere manipolati secondo la migliore pratica veterinaria.
Nella generalità dei casi l'obbligo
di sorveglianza sanitaria non dovrebbe ricorrere. Ciò nonostante
i lavoratori si devono sottoporre a vaccinazione antitetanica
(obbligatoria) e alle altre vaccinazioni non obbligatorie, su
eventuale indicazione del datore di lavoro e/o del medico competente;
è comunque opportuno che siano sottoposti
a visite mediche periodiche nel caso la situazione igienico-sanitaria
nell'allevamento riscontri forti carenze.
gli agenti allergizzanti
Una attenzione specifica meritano gli
agenti allergizzanti (l'allergene
è una sostanza capace di produrre reazioni allergiche) presenti
nell'ambiente agricolo, anche se non sempre sono facilmente
inquadrabili in specifiche normative sulla sicurezza. In genere,
comunque, gli agenti allergizzanti possono essere assimilati, nella valutazione
dei rischi, agli agenti biologici.
Gli agenti allergizzanti professionali
possono essere di origine vegetale
(polline, farine, olii vegetali, semi,
legni), animale (crine, forfora, peli, piume, setole) o sintetica
(prodotti fìtosanitari, olii minerali, solventi,
colle, detersivi, additivi). Essi si ritrovano in molte lavorazioni
agricole, che possono quindi diventare causa di
allergopatie:
·
allevamenti;
·
falciatura, raccolta e manipolazione del fieno;
·
floricoltura;
·
lavorazioni del legno;
·
manipolazioni di cereali;
·
lavorazioni che espongono al contatto con gli animali;
·
attività d'officina e manutenzione delle macchine;
·
pulizia dei locali.
Per ridurre l'esposizione, sono previste misure tecniche
e procedurali, che riguardano l’uso di appositi
DPI per le vie aeree (maschere con facciale intero o parziale
con uno o più filtri; caschi, se l'attività lavorativa viene
svolta all'interno di serre, silos o magazzini) e per evitare
contaminazioni da contatto cutaneo (tute da lavoro in cotone
100% impermeabilizzate, guanti di gomma e sottoguanti di cotone,
stivali di gomma).
() Il
contenuto può essere il seguente:
·
guanti monouso o in lattice;
·
1 visiera paraschizzi;
·
1 confezione di
acqua ossigenata F.U. 10 volumi;
·
1 confezione di doro
ossidante elettrolitico al 5%;
·
10 compresse di garza
sterile 10x10 in buste singole;
·
5 compresse di garza sterile
18x40 in buste singole;
·
2 pinzette sterili monouso;
·
1 confezione di rete elastica
n° 5;
·
1 confezione di cotone
idrofilo;
·
2 confezioni di cerotti
pronti all'uso (di varie misure);
·
2 rotoli di benda orlata
alta cm. 10;
·
1 rotolo di cerotto alto
cm. 2,5;
·
1 paio di forbici;
·
2 lacci emostatici;
·
1 confezione di ghiaccio
"pronto uso";
·
1 coperta isotermica monouso;
·
5 sacchetti monouso per
la raccolta di rifiuti sanitari;
·
1 termometro;
·
pomata al cortisone contro
le punture di insetti;
·
preparato antiustioni.
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